Il fuoco in una stanza, la recensione del nuovo disco dei Zen Circus

Gli Zen Circus quando si presentarono al panorama italiano con un misto di punk e scazzataggine fecero il vuoto attorno a sé, almeno nella scena indie. Cantavano in inglese e potevano permettersi di collaborare con gente del calibro di Brian Ritchie…

Poi arrivarono i testi in italiano e fu un’altra piacevole scoperta, sentire delle parole pesanti e intense come quelle scritte da Appino nel primo album Andate tutti affanculo. Disco acclamato e davvero dirompente in cui la poesia punk degli Zen Circus si sposava alla perfezione con un suono duro ma anche psichedelico. Poi arrivarono i dischi solisti di Appino Il testamento e Grande raccordo animale, e poi ancora arrivarono i dischi di inzio anni ’00 sempre un po’ meno punk.

Il fuoco in una stanza, segue la deriva presa dal gruppo, non è sicuramente un disco punk, almeno per gli elementi in gioco ma sicuramente la scintilla della band pisana rimane quella. A tratti si fa più fioca, a tratti più intensa, ma rimane sempre quella la matrice, un punk che cerca di tornare alla primarietà degli elementi.

I testi di Appino, e piu’ in generale l’indole della band risentono dell’atteggiamento più mainstream che il trio pisano si è imposto e molti risultati sono davvero sorprendenti.

Catene, sulla falsa riga di Figlio di Puttana, è un bel testo sul dolore di una famiglia e sulle bugie che si raccontano nel mondo borghese. La stagione è un pezzo struggente che avrebbe potuto scrivere un ispirato Ligabue delle origini (spero sia un complimento, o forse no. Vabbè, nella mia testa lo era), Il mondo come vorrei ha una melodia decisamente cantautoriale che ricorda per certi versi Sergio Endrigo, fantastico Appino in frac. Sono umano gioca tra piani piccoli e belle parole mentre Il Fuoco in una stanza non è piaciuta, l’ho capita, è bella, ma non mi arriva, mannaggia. Troppo rossetto, bello per carità ma amavo qualcos’altro degli Zen Circus, questo vaschismo forzato a tratti mi lascia perplesso. Un po’ anche Low Coast scivola in quella categoria.

Emily no invece è l’esatto motivo per cui amiamo gli Zen Circus, un testo potente e veloce una melodia sgraziata e feroce che ti arriva nel sangue e una chitarra così stonata che ti fa brillare una marea di idee.

Anche Rosso e nero e Quello che funziona (autoironia? ), La Teoria delle stringhe, Panico, giocano sulle corde classiche degli Zen Circus e infatti ti scoppiano in faccia come bombe.  Chiude l’album Caro Luca, una canzone struggente e sincera che non può neanche essere giudicata tanto è fragile ed emozionante, scritta in una notte di sofferenza con la voglia di raccontare solo la verità.

Il fuoco in una stanza è un album che forse non entrerà nella storia collettiva ma da cui si percepisce un percorso davvero interessante che potrebbe rendere Appino e gli Zen Circus ancora più digeribili per il grande pubblico.  Il percorso ha bisogno ancora di un po’ di strada, ma di certo la band livornese sta già immaginando altri approdi, ben più distanti.

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Su Piggy the pig

Nasce negli anni 80 con ancora l'eco delle chiamate londinesi. Quando ci arriva a Londra è scoppiato il Brit-pop, intanto le urla del grunge scendono sotto pelle. Ama il vino rosse e le birre rosse, ascolta musica per non piangere ma a volte gli fa l'effetto contrario.

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