Capodanno 2022, cinque dischi del 2021 da non perdere

 Cosa ci porteremo dietro di questo anno musicalmente? Noi abbiamo provato a buttare giù qualche idea. Abbiamo scelto cinque dischi, di cui due di artisti molto celebri, uno di una band già di culto ma non ancora popolare nel nostro paese e due nomi che di certo faranno parlare molto di sé nei prossimi anni.  Buona lettura e buon 2022!

 

5º St.Vincent: Daddy’s Home

St. Vincent oramai da anni lotta da sola nella produzione di musica, come se fosse in una costante gara contro sé stessa. Cosa che non stupirebbe vista anche la carriera del suo grande pigmalione David Byrne, artista che da sempre ha considerato superarsi un imperativo del proprio lavoro. Per non parlare di Sufjan Stevens artista con cui ha condiviso gli inizi musicali e che che di certo si pone al centro degli ultimi vent’anni musicali per originalità e inventiva. Daddy’s Home, il nuovo lavoro dell’artista americana è un concentrato di stimoli provenienti da diverse scene musicali: elettronica, rock, unite da una grande capacita di scrittura. Una certa desertificazione della voce in questo Daddy’s Home farebbe pensare a PJ Harvey, ma la componente elettronica porta più nei dintorni di Beck (quello di Colors), anche se la cosa che appare più evidente è l’incredibile fluidità di un disco che di certo non è “orecchiabile” almeno ai più. Canzoni dilatate, suoni reverberati, voci sguaiate, ambienti da thriller, St. Vincent riesce a condensare tensione contemporanea e gioco melodico in un album che solo per come è stato concepito merita un posto tra le migliori produzioni dell’anno. 

 

4º The War On Drugs: I don’t live here anymore

I War On Drugs sembrano i cugini di un paese lontano che incontri dopo una tragedia, quelli che ti offrono casa loro al mare e serate di birrette per dimenticare qualche dolore. Fuori moda, fuori look, ma con una carica musicale incredibile The War On Drugs si sono meritati un posto nella scena rock internazionale lavorando su grandi temi musicali, suonando bene e cantando bene. In pratica la vecchia ricetta del rock’n’roll. I don’t live here anymore ci porta ancora una volta nel mondo senza tempo della band della Pennsylvania, senza troppi fronzoli, ma ci fa cadere mani e piedi. Solo il coraggio di iniziare un album nel 2021 con un accordo di Re eseguito da una chitarra acustica spiega più di mille parole l’atteggiamento scazzato (e quindi perfetto) di questa band al di là delle mode.

10 brani che ti accarezzano la pelle come un maglione di lana nei giorni freddi, 10 canzoni che ti ricordano che siamo umani, che non ci sono solo virus, catastrofi e spostamento di dati. Ci sono anche giorni in cui hai voglia di bere una birra con amico o star male per un amore lontano. 

Album che prende a pieno diritto un quarto posto per diversità e intensità.

3º The Antelers: Green to Gold

Gli Antelers sono passati tante volte da queste parti e sempre li abbiamo elogiati. In effetti Green to Gold è uno dei dischi non solo meglio riusciti dell’anno ma anche il più di “sottile”.

Al primo ascolto un bel disco, belle voci, belle chitarre, belle atmosfere, bei riff. Nel tempo, dopo un paio di mesi, vi accorgerete che è un disco con un’incredibile capacità evocativa. Il riff di chitarra di Green To Gold è una sorta di chiave verso altri mondi fatti di ricordi e presenze, più che di carne e sangue. Le canzoni sono belle di queste album, anche se forse un produttore ancora più severo avrebbe donato al disco una maggiore precisione, perdendo però forse proprio quella estemporaneità che ci ha fatto innamorare. 

Gi Antelers potrebbero nel giro di qualche disco diventare una band di riferimento per il futuro, Green to Gold è un album pazzesco, ma da qui sentiamo già che il meglio potrebbe ancora essere in arrivo.

 

2º Damon Albarn: The Nearer The Mountain, More Pure The Stream Flows

Damon Albarn merita sempre un posto nei nostri cuori per tutto quello che ha sempre immaginato, scritto, messo insieme, ritagliato. Certo, questo a prescindere. Per da grandi fans della sua arte bisogna anche saper fare dei distinguo: un conto è fare i Gorillaz (Dio li abbia in gloria) un conto è fare un disco a cinquant’anni sulla propria solitudine esistenziale.

Non tanto perché sia difficile fare dischi noiosi e autorefenziali, ma perché è difficile scrivere qualcosa di estremamente sensato e piacevole partendo dalla propria solitudine. 

È difficile fare un disco che tiene insieme David Bowie e i Sigur Ross, Elton John e i Blur.

Ispirato certo dal lockdown, Damon Albarn ci regala un disco che riflette sulle possibilità della solitudine e le indaga con grande intelligenza. Di certo un album che rimarrà il meraviglioso The Nearer The Mountain, More Pure The Stream Flows.

1º Elizabeth and Catapult: sincerely, e

Artista poco nota e poco raggiungibile dai radar mediatici Elizabeth Ziman è una newyorkese innamorata di Dylan, pianista e compositrice sin da giovanissima, che si disinteressa di dove va il mondo. Non per distacco e superficialità ma perché vuole osservarlo, capitolo, confrontarsici. Così è nato durante il lockdown questo disco scritto in minuscolo sincerely, e. Un disco che per stessa ammissione dell’autrice è nato dalla conflittualità tra la solitudine della stanza in cui ha passato la quarantena e i movimenti del globo intorno a lei. I lockdown non sono tutti uguali e abbiamo ragione di pensare che quello di New York nel bene e nel male sia stato qualcosa di ancora più eclatante, Elisabeth Ziman ha fotografato proprio questo. Una giustapposizione di elementi diversi e lontanissimi che hanno creato una situazione di interregno in cui a volte, questo è il caso, nascono le migliori opere d’arte. 

L’inizio di questo disco è semplicemente straordinario: 

Read the news in california/ hope my family’s okay/ looks like those beaches are as full as ever/ just another perfect summer day/ 

an old boyfriend called from arizona/ said he was sick but no complaints/ asked if i could sing a song right over the phone/ so i sang him “purple rain” and he coughed and sang along

Scene che abbiamo vissuto tutti, ma che così bene solo Elizabeth con la sua semplicità ha saputo raccontare. Meritatissima la prima posizione della nostra personalissima classifica. 

 

Su Piggy the pig

Nasce negli anni 80 con ancora l'eco delle chiamate londinesi. Quando ci arriva a Londra è scoppiato il Brit-pop, intanto le urla del grunge scendono sotto pelle. Ama il vino rosse e le birre rosse, ascolta musica per non piangere ma a volte gli fa l'effetto contrario.

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