La musica in Italia sta godendo di una piccola fortuna inaspettata, un momento di attenzione inedito per l’intero panorama artistico nazionale. Non solo Maneskin, non solo Colapesce e Di Martino, non solo Salmo, ma anche tanta musica italiana che striscia tra locali underground e scene più in vista grazie al rinnovato sentire musicale di nuovi giovanissimi musicisti. Abbiamo scelto due progetti che meritano sicuramente attenzione anche per le loro derivazioni.
Giovanni Caccamo – Parola
Il giovane cantautore siciliano scoperto niente di meno che da Franco Battiato e con all’attivo già due successi a Sanremo, ha da poco pubblicato un disco importante e originale. Ma soprattutto un album carico di stimoli, suggestioni, sfumature provenienti da diversi mondi artistici: scrittura, teatro, cinema, e naturalmente musica. Di per sé l’idea di mescolare andando a ripescare in ciò che di buono è stato fatto nel passato sarebbe già molto interessante, ma la cosa più bella di Parola è che Caccamo le cose le fa bene e sa scegliere bene collaboratori e naturalmente…parole. Quattordici tracce, sette canzoni e sette introduzioni recitate, parlate, raccontare da un parterre de rois in cui spiccano nomi, ma non per contorno, bensì per significato. Prima di ogni canzone troviamo infatti la voce di Willem Dafoe, Patti Smith, Jesse Paris Smith, Liliana Segre, Aleida Guevara, Michele Placido, Beppe Fiorello ad introdurre il tema del pezzo su una base elettronica leggera ma sempre suggestiva. A questa lista dovete però aggiungere Pallottole, recitato tratto dall’archivio audio del maestro Andrea Camilleri che lega tutto il disco ad un senso profondo e forte di ricerca della sincerità. Tutto l’album alterna ritmi a volte molto intensi a ritmi più lenti, ma sempre accostandoli perfettamente al recitato che lo precede. Aggiungete che questo disco diventerà presto uno spettacolo teatrale che si avvarrà della presenza di Michele Placido e capirete lo spessore del progetto portato avanti dal giovane Caccamo. Tra le tracce sarà sicuramente piacevole scoprire la voce di Patty Smith, di William Dafoe, ma a togliere il fiato e far venire la pelle d’oca è la voce di Liliana Segre che racconta la traccia Madre, semplicemente commovente. Poco altro da dire.
I Hate my village – Gibbone
Non si tratta nemmeno di un vero disco, parliamo di quattro tracce, tra l’altro su Spotify manco lo hanno indicato come album ma come EP. Ma tutto questo non ha alcuna importanza. Quello che importa è che Gibboni sono quattro tracce nate da quella meravigliosa idea di mettere insieme Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena) a cui abbiamo dato nome I hate my village. Se il primo omonimo lavoro in studio degli I hate my village aveva lasciato critici e pubblico di stucco, questo Gibbone se possibile alza l’asticella di almeno mezzo miglio nella musica italiana. Sarà l’atmosfera, sarà la sensazione che si respira, sarà la potenza, ma davvero siamo di fronte ad un prodotto entusiasmante. Gibbone, da cui prende titolo l’album sono 11 minuti di puro viaggio tra psichedelica africana e musica minimalista contemporanea. La partenza affidata a delle percussioni ridotte all’osso e a poche note di basso si aprirono lentamente verso un meraviglioso scoppiettare di suoni e ritmi che si sovrappongono e colorano l’atmosfera. Sembra di assistere ad un rito di iniziazione vero e proprio, oppure il alternativa ad una telecamera puntata su un gibbone appunto. Splendida. Yellowblack ha un suono pazzesco che prende immediatamente lo stomaco per trascinarci in un ballo scatenato sul finire della notte, come Ami che riprende però l’africanismo delle della title track. Hard disk surpraise chiude le quattro tracce con un divertimento elettronico che apre più che chiudere sul futuro di questo progetto. Un Ep Gibboni da ascoltare con cura aspettando di essere sorpresi ancora da queste quattro belle teste in evoluzione.