La riva delle Sirti - Julien Gracq

La riva delle Sirti – Julien Gracq

La riva delle sirti di Julien Gracq è un libro impegnativo, complicato, dalle chiavi di lettura molteplici, sognante e suggestivo, allusivo e avvolgente; richiede attenzione, una lettura attiva ma che sa rapire; uno scritto sontuoso ma capace di sondare meandri nascosti del cuore. Questo viaggio metafisico non lascia indifferenti, si rimane storditi di profondo stupore.

La riva delle sirti di Julien Gracq

La Repubblica di Orsenna sopravvive sonnecchiante adagiandosi sulle antiche glorie. Aldo, figlio della nobiltà della capitale, accetta di prendere incarico come Osservatore presso l’Ammiragliato sulle rive delle Sirti.
Orsenna, questa repubblica inventata in una geografia immaginata, è da tre secoli in guerra latente con il Farghestan, dall’altra parte del mare: più che di guerra si tratta di pace mai dichiarata.
Aldo si troverà ad avere a che fare con l’amato e odiato capitano Marino, con l’amico ufficiale Fabrizio e con l’affascinante e conturbante Vanessa. Tutte tessere di un mosaico che compongono questo stato d’animo, dei protagonisti e della Repubblica, tanto addormentato quanto esacerbato da un’attesa infinita.

È un libro impegnativo, complicato, dalle chiavi di lettura molteplici, sognante e suggestivo, allusivo e avvolgente; richiede attenzione, concentrazione, una lettura attiva ma che sa rapire; uno scritto sontuoso ma capace di sondare meandri nascosti del cuore. Una cosa la posso assicurare: questo viaggio metafisico non lascia indifferenti, si rimane storditi di profondo stupore.

Preziosa bolla

[…] C’è un colmo d’inerzia, che tiene da tre secoli immobile questa rovina, quella stessa forza d’inerzia che altrove scatena valanghe. Ed è questa la ragione per cui io vivo qui facendo il minimo rumore possibile, trattenendo il fiato, facendo di questa conchiglia il letto della mia sonnolenta vita di piccolo burocrate che ti scandalizza tanto. […] Quello che ti rimprovero è di non essere abbastanza umile da rifiutare i sogni al sonno di questa pietre… e sono sogni violenti… io sono diventato vecchio ormai, e ho imparato cosa vuol dire morire: è una cosa difficile e lunga, e che richiede aiuto e compiacenza. Voglio dirti questo, Aldo: tutte le cose a questo mondo vengono uccise due volte: una prima volta nella funzione, una seconda nel segno; una volta in ciò che le rende utili, e un’altra in quello che continuano a desiderare per mezzo del nostro animo. Non ti rimprovero altro se non la tua compiacenza a certe suggestione mortali”.

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E dovrei scrivere di questo intenso intrigo d’anima, che segue il filo dei pensieri di Aldo pressandolo da molto vicino, addosso, sottopelle. Come un grandioso dipinto, elaborato con materiali nobili e colori cupi, che rivive sulla tela ogni volta che vi si volge nuovamente lo sguardo. Una pregiata trama di parole, cucite con certosina attenzione, talmente densa da non poter distogliere l’attenzione e così spalancata su un altrove inafferrabile.
Un’intensità di scrittura da lasciare senza fiato, capace di risaltare le minuzie e avvicinare la grandiosità delle meschine attività umane.
Paesaggi in cui sentirsi presenti tanto da annusarne gli odori, toccarli con mano, guardarli a propria volta attraversati dal vento e dall’umidità. Piccole stanze ricche di presenze inafferrabili, palazzi pregni di un passato che non li abbandona, un mare le cui onde pulsano dentro.
E persone con cui dialogare fittamente, a cui appoggiare i propri silenzi e i cui silenzi accogliere. Ognuno è nudo nei propri gesti e parole, ammiccante ad altro che non sia detto, portatore di istanze più grandi, archetipi di sentimenti profondi.

Un’atmosfera brumosa, parola che si fa filo conduttore di pagine sofferte. Una costruzione sontuosa e ricca di cura dei particolari, suggestiva nel suo incedere lento e pastoso, in grado di alimentare incubi metafisici e sogni d’ordinanza. Poggiata su un’attesa snervante, su maree che bagnano una civiltà e, ritiratesi, ne scoperchiano la decadenza. Laddove vita e vitalità sanno prendere strade diverse per ritrovarsi ad un incrocio fattosi pericoloso dopo tanto parallelismo.
Un cesto talmente ricco di ingredienti che verrebbe a girar la testa se la mano dello scrittore non fosse ferma, metodica nell’indicare il tragitto, poetica nel suggerirne le deviazioni, esemplare nel tenerci avviluppati alle parole, all’andamento ipnotico, ad un continuo richiamo d’eco lontana.

Le rive

Le rive hanno la caratteristica di avere alle spalle un territorio e davanti a sé un mare oltre cui c’è l’altrove. Perdersi in questo libro ha il sapore di eterno che solo le grandi opere sanno stimolare, dove ognuno riesce a ricavare qualcosa di suo e impressioni indelebili. Raramente si viene trasportati in una bolla tanto efficace, un mondo tanto sognante quanto concreto, con l’incapacità di chiudere l’oggetto dopo la pagina finale e tornare presenti a ciò che ci circonda. Ho raccontato le mie suggestioni, ma davvero avrei dovuto tacere per non rovinare.

Il rischio, ogni volta che succede, è di sembrare uno sponsor nemmeno occulto di questa casa editrice. So che risulta forse addirittura ridicolo, ma che ci posso fare se è così? In tutte le recensioni scritte fino ad ora ho usato la parola capolavoro solo per due libri (Il Quinto Evangelio e I giorni e gli anni), manco a dirlo de l’Orma Editore, ed ora mi vedo costretto ad utilizzarla una terza volta, guarda caso ancora per un loro libro. A questo punto smetto pure di giustificarmi, così è. In particolare ho apprezzato questi tre recuperi di opere fuori catalogo, un lavoro di un’importanza commovente.

Julien Gracq – La riva delle sirtil’Orma Editore
Traduzione Mario Bonfantini

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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