Dissipatio H. G. di Guido Morselli. E se un uomo restasse il solo al mondo? Morselli ci fa capire come dipenda tutto da quale uomo, perché questo libro ha il suo senso solo perché è il suo protagonista a rimanere l’ultimo sopravvissuto. Naturalmente si tratta di una considerazione possibile solo grazie alla bravura dell’autore che sa assetare il lettore mentre lo abbevera.
Dissipatio H. G. di Guido Morselli
Ciò che ‘fa’ il silenzio e il suo contrario, in ultima analisi è la presenza umana, gradita o sgradita; e la sua mancanza. Nulla le sostituisce, in questo loro effetto.
E il silenzio da assenza umana, mi accorgevo, è un silenzio che non scorre. Si accumula.
E se un uomo restasse il solo al mondo? Morselli ci fa capire come dipenda tutto da quale uomo, perché questo libro ha il suo senso solo perché è il suo protagonista a rimanere l’ultimo sopravvissuto. Naturalmente si tratta di una considerazione possibile solo grazie alla bravura dell’autore che sa assetare il lettore mentre lo abbevera, proponendo un personaggio in grado di analizzare la propria situazione ma in preda alle circostanze, assalito da dubbi e ipotesi, che agisce sulla base dei propri ragionamenti per poi contorcersi su di essi. Non è geniale la trovata, l’ultimo uomo rimasto, ma è sorprendente la capacità di costruirci attorno la sostanza e la bravura di narrarla.
Il protagonista esce da un tentativo di suicidio non portato a termine come l’ultimo uomo sopravvissuto sulla terra, questo è quanto. Non ci sono spiegazioni dell’accaduto e non se ne scovano indizi, semplicemente tutti gli esseri umani sono evaporati, spariti. Il libro è il resoconto scritto dal protagonista che, di fronte all’imprevedibile apocalisse morbida, cerca altri sopravvissuti e nel mentre produce le proprie considerazioni.
La scrittura di Morselli è capace di reggere il copione in maniera sorprendente. Il protagonista è costruito con sostanza, la narrazione non potrebbe appartenere ad altri che a lui. In questo modo i ragionamenti che inevitabilmente vengono proposti hanno un determinato carattere, colti ma mai estesi o approfonditi allo spasimo. Se fosse un testo di soli ragionamenti non sarebbe un libro di narrativa, come invece è, ed anche peculiare. La scrittura di Morselli sa creare un’angoscia stralunata, istiga piuttosto che dispiegare, gioca a stanare il protagonista nelle sue paure e debolezze, suggestionando senza eccedere, con la sola capacità di parola.
Tra uomo e natura
La fine del mondo?
Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi.
Morselli scrive un libro tremendamente attuale se si pensa che è stato pubblicato postumo nel 1977, dopo il suicidio dell’autore. Di certo si tratta di un testo che sa aprire a diversi temi, io qui faccio solo un paio delle (povere, a causa mia) considerazioni che mi ha suscitato. Ma è un libro importante, per il cosa e per il come.
Di certo esiste la tematica riguardante la natura, il rapporto ottuso che l’uomo ha con essa. La natura continua anche senza l’uomo e di questo ad un certo punto si accorge il protagonista: non sta assistendo alla fine del mondo, ma a quella dell’essere umano; l’antropocentrismo viene smascherato nella sua presunzione. Eppure, finché esisterà un solo uomo sulla faccia della terra, il substrato antropocentrico non scomparirà, perché è uno stato ormai interiorizzato delle nostre menti, perché l’essere umano è l’unico metro di paragone per sé stesso.
Il protagonista è un uomo che è fuggito dalla città per isolarsi nella natura che ha sempre amato. Quando però si trova in una situazione in cui potrebbe gustarla senza impedimenti e disturbi, si scopre a perdere interesse verso di essa. La natura in sé non ha valore se non può essere conquistata a scapito degli altri, la conquista dell’uomo sulla natura è un’occupazione del suo stesso animo che sa alimentarsi solo di contrasti, di competizione in cui non conta tanto l’obiettivo, ma il superamento della concorrenza che è sempre un altro essere umano, è sempre un confronto intraspecifico. L’ode alla natura è tale solo per essere comunicata agli altri.
Quindi il disinteresse verso la natura in sé si è cristallizzato fino a non capirne i danni per noi stessi, la nostra rincorsa di un obiettivo valido esclusivamente tra di noi ci ha portato a perpetrare danni a noi stessi per mancato riconoscimento della natura, chiudendoci in un circolo vizioso che comincia e finisce con noi, che non sa riconoscere nella natura nemmeno i propri interessi più generali, insistendo su un individualismo feroce.
Il protagonista vive il grande enigma della propria narrazione: per chi narra? La socialità che tanto fuggiva prima dell’evento ora diventa una necessità pressante, la gabbia sociale da cui ha cercato sempre di evadere si rivela inaspettatamente una casa. La socialità non ha nessuna pietà, agisce malgrado noi e la sua mancanza fa scaturire la paura. Il protagonista non ha problemi di sopravvivenza, le scorte di cibo sono abbondanti, così come tutte le altre cose necessarie alla vita e agli spostamenti. Dunque la paura non è per la propria pelle, per preoccupazioni pratiche, ma subentra quando si accorge di essere davvero solo, di avere attorno a sé un vuoto troppo grande per essere colmato.
La situazione estrema di questa solitudine porta ad un’ipotesi che ribalterebbe tutto: e se fosse il protagonista ad essere morto? Se fosse riuscito a suicidarsi? In fin dei conti è forse più probabile che muoia una persona piuttosto che spariscano tutte le altre. A quel punto, il protagonista sarebbe nel proprio paradiso, natura che si riprende lo spazio e mancanza degli altri fastidiosi esseri umani, che però si trasforma rapidamente in un inferno che ribalta i valori: disinteresse per la natura e ricerca spasmodica di compagnia.
Guido Morselli – Dissipatio H. G. – Adelphi