Uno psicologo potrebbe scrivere intere pagine solo concentrandosi sul titolo del nuovo album di Liam Gallagher. Perché me? Perché no. Che l’altra parte del cielo Oasis stia facendo i conti con la storia? Con l’incredibile successo che la band condivisa col fratello ha ottenuto per quasi quindici anni?
Escludendo la risposta didascalica, Why Me? e Why Not. sono il titolo di due dipinti di John Lennon, siamo fuori strada. In Liam Gallagher non pare proprio ci sia nessuna voglia di resoconti anzi, appare evidente una certa propensione alla distruzione e alla scoperta di nuovi paesaggi. In una bella intervista fatta qualche settimana fa Liam dichiarava di non avere nostalgie per il passato, di vivere giorno per giorno, di provare ad essere autentico ogni santa mattina che il Signore manda in terra. Che sia vero o no non saremo certo noi a scoprirlo e la faccenda è anche poco interessante. Forse arriverà un giorno in cui in cui per parlare dei due fratelli Gallagher non serviranno più mirabolanti cappelli tratti dalla loro saga familiare.
Forse allora il titolo di questo secondo lavoro solista di Liam racconta una verità autentica, perché la storia della musica ha scelto noi? Boh, vallo a sapere, intanto sappiamo che siamo qui e sappiamo scrivere (e interpretare) delle ottime ballate.
Forse i due ragazzi di Manchester vanno presi un po’ meno sul serio, sono due ragazzi abbastanza semplici che hanno avuto la capacità di scalare le classiche con una decina di pezzi memorabili e un paio di capolavori assoluti. Detto questo, a mio personalissimo avviso, bisogna anche smettere di azionare il beatlesometro ad ogni disco loro disco: è più Beatles? Meno Beatles?
Con Why me? Why not. Liam Gallagher fa un altro passo in avanti nella sua ricerca personale, perde un’altro po’ di Beatles per provare ancora ad aprire ad una dinamica più grezza, più squarciata. Ma soprattutto decide di affidarsi (per la maggior parte dei pezzi) a degli autori concentrandosi su quello che sa fare meglio: il performer.
Shockwave, per esempio, ha una apertura che ricorda più Iggy Pop, sia per la chitarra, sia per la batteria. Abbastanza evidente la dichiarazione nella prima strofa “Alleluia I feel free”. One of us ha un’apertura che da un lato ricorda i lavori degli Oasis e da un lato strizza gli occhi al brit-pop post Oasis. Bello il ritornello, interessanti i violini e l’atmosfera da piccolo club. Salta la batteria nella prima strofa di Once, qui siamo in un mood rilassato che sembra voler cercare più la pace che il conflitto. Del resto dal titolo, è proprio questo che ci si aspetta.
In Now that I’ve found you si sente la mano di almeno uno dei produttori Greg Kurstin, uomo che ha firmato grandi successi con il meglio del pop internazionale da Lily Allen a Katy Perry. Halo è un bello scherzo alle spalle dei Beatles ma forse l’ispirazione non è tra le più illuminanti che Liam abbia avuto. Apprezzabile il bridge con il flautino stonato a seguire la tastiera.
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Why Me? Why not. è il pezzo forse più alla Oasis di tutto l’album ma forse proprio per questo convince da subito. Ha tutto: la title-track, tiro, melodia, arrangiamento. Be still è forte ed emozionale, facile immaginarla uscita da una notte di rancori e solitudine. Alright now è una bella ballata senza grandi sbudellamenti ma buona nell’insieme, fa il doppio con la traccia successiva Meadow.
Si riparte con ritmo con The River, ma si rallenta subito con Gone, pezzo malinconico e con delle belle scale armoniche. Invisibile Sun cerca di richiamare l’attenzione con un bel procedere che apre alla traccia successiva Misunderstood, ballata abbastanza prevedibile. Chiude l’album Glimmer, un pezzo fresco e leggero che ricorda i Pavement e il lato migliore e più pop degli anni novanta.
Cosa chiedere ad un disco di Liam Gallagher? Esattamente quello che si trova in Why Me? Why not, canzoni da cantare a squarciagola di notte senza pensare troppo a quello che succederà domani o è già successo.