Se non conoscete Bonnie “Prince” Billy, beh è arrivato il momento di recuperare la lacuna tempestivamente. Per vostra fortuna però è arrivano un disco nuovo di pacca, e che pacca, a togliervi dall’imbarazzo. Ascoltandolo e capendolo potrete finalmente andare a bere le birrette all’Ohibò e fare i fighi con le giovanissime frequentatrici delle serate indie. Prima di tutto datevi anche un tono, bastano un berrettino da baseball, cappello da cow-boy e magari un po’ di kajal sugli occhi, non guasta.
Quando nel 2003 uscì Master and Everyone il mondo dell’allora nascente indie folk gridò al miracolo e lo incoronò principe del genere, nonostante la concorrenza fosse agguerritissima. Sono di quegli anni i dischi migliori di Bright Eyes, José Gonzalés e Iron e Wine, per dire.
Ma il “principe” aveva qualcosa di diverso, se possibile, era ancora più radicato nelle sue malinconie, avviluppato nella sua espressività, anche se forse a tratti meno originale dei suoi soci.
Ad ogni modo se non lo avete fatto, ascoltate Master and Everyone per farvi del bene.
Subito dopo acquistate di gran fretta I Made a place, opera appena estratta dallo stomaco di Bonnie e ancora grondante di lacrime e sangue.
Nel comunicare l’uscita del disco lo stesso Will Oldham ha dichiarato “Negli ultimi anni, il mondo della musica è stato atomizzato, nel modo in cui tale musica viene concepita, percepita, registrata e distribuita. Ho provato a trattenere il respiro, aspettando che la tempesta passasse, ma questa tempesta è qui per restare e la devastazione che ha portato con sé, è il nostro nuovo paesaggio. Cosa dovrebbe fare una persona, a parte fare quello che conosce e percepisce? Ad esempio io scrivo album e canzoni per l’esperienza dell’ascolto intimo di meravigliosi sconosciuti che condividono qualcosa spiritualmente e musicalmente. Ho iniziato a lavorare a questi brani pensando che non sarei mai riuscito a finirli, registrarli e pubblicarli. Questo era uno stato d’animo costruttivo che proteggeva le canzoni fino al momento spaventoso in cui le ho lasciate andare per darle a voi”
Queste parole si capiscono bene ascoltando I Made a piace, che se vogliamo è già un titolo significativo della volontà di costruire qualcosa di appartato, di diverso, di lontano da ciò che già esiste. Bisogno, ahimè, non più prioritario nel mondo della musica attuale, dove appare necessario essere sempre connessi al mondo virtuale ancor di più che quello reale.
Detto ciò il disco si apre con un pezzo e folk emozionate e vivace, New memory box, un po’ come quando si arriva a Las Vegas dal deserto. Dream Awhile porta invece all’intestino tenue del cantautore americano prima di rilanciarsi in macchina con The Devil’s Throat. Scorrono Look Backward On Your Future, Look Forward To Your Past, I Have Made A Place (mah…avrei scelto un’altra title track forse), fino ad arrivare a Squid Eye pezzo migliore a mio parere dell’album. You Know the One, This Is Far From Over, Nothing Is Busted connotano I Made a piace come un album dal modo lento e riflessivo, con delle accelerazioni improvvise, anche se molto contenute come la bella ballata Mama Mama.
The Glow Pt. 3 colpisce dritta al cuore e te lo porta via, mentre scrivo sto ancora asciugando le lacrime dalla tastiera. Il clarinetto è super. Chiudono il disco Thick Air e Building A Fire due pezzi ottimi per una chiusura di classe.
Se proprio un appunto si deve fare a I Made a Place, forse direi che poco tempo si è dedicato alla scaletta, che poteva regalare qualche emozione in più fra i passaggi di mood.
Che siate fans o no del principe, ad ogni modo, questo è il disco che vi meritate per questo Natale. Con questo album nelle orecchie, fidatevi, sarà bello anche essere tristi e soli.
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