Bisogna fare una premessa di certo non essenziale prima di parlare di Letter To You, il nuovo disco di Bruce Springsteen, bisogna schierarsi. Chi scrive non è un fan, non idolatra il Boss, detto questo prendendo a prestito il vecchio adagio di Benedetto Croce, una volta ascoltato: bisognerebbe dire non ci si può dire non springsteeniani, almeno in parte.
La musica del rocker più famoso e longevo al mondo, ma anche il più emblematico, ha accompagnato chiunque almeno in una parte delle vita. C’è almeno una canzone che tutti hanno amato del Boss, ma come ovvio su una discografia così sconfinata e variegata (dischi elettrici, acustici, botleg, tematici, doppi) o si è grandi fan dell’artista oppure ci si accontenta di avere un’opinione sommaria.
Questa premessa che parrebbe del tutto pleonastica, serve a parlare con chiarezza di Letter to you con sincerità e chiarezza d’intenti (ne abbiamo parlato anche qui). Qui non siamo di fronte ad un disco slavato e messo in piedi per ragioni discografiche, neanche ad un amarcord: siamo di fronte ad un disco importante e da ascoltare a cuore aperto. Già, perché la recensione potrebbe finire qui, usando una sola parola: sincero.
È la sincerità che colpisce di Letter of you, è l’onestà con cui un dio del rock si riesce a mettere a nudo per raccontare ancora la gioia di vivere, la voglia di ricordare, il bisogno di amare. Il modo stesso in cui è stato concepito, realizzato e prodotto il ventesimo disco di Springsteen dà l’idea della grandezza del lavoro a cui siamo di fronte.
Realizzato appunto nello studio di casa Springsteen, Letter to you ha segnato il ritorno al fianco del boss della E-Street band che non è solo una band di musicisti, ma una famiglia, un gruppo di amici con cui il cantautore diventa un profeta, un druido, o semplicemente un rocker straordinario.
Spicca all’interno della E-Street band il ruolo di Steven Van Zandt, non solo braccio destro del Boss, ma vero e proprio fulcro dell’anima della sua musica, grazie anche ad un carisma riservato, eppure autorevole. Ron Aniello compare nei crediti come produttore di fianco allo stesso Springsteen, ma non sfuggirà agli ascoltatori la mano magica nell’amalgamare il tappeto sonoro portato dal chitarrista con la bandana. Un vero e proprio marchio di fabbrica del suono di Bruce Springsteen.
Caratteristica che salta all’occhio quella della coesione della band sin dalle prime note e che accompagna piacevolmente per tutto l’ascolto dell’album. Suono ottenuto anche grazie ad una esecuzione in presa diretta con pochissime sovraincisioni, tutte tracce che fanno arrivare dritto al cuore del messaggio delle lettere scritte da Bruce Springsteen.
Sarà anche il titolo, sarà la scrittura diretta eppure molto intima, ma la sensazione è proprio quella di poter attraversare il diario di un profeta del suo tempo. La vita raccontata da Springsteen è quella interiore dell’innamorato, dell’amico, dell’uomo riservato.
Tried to summon all that my heart finds true/ And send it in my letter to you
Nella prima strofa del singolo scelto per presentare l’omonimo album, il motivo di tutto il disco: dire la verità fino in fondo (I took all my fears and doubts/ In my Letter of you), dirla tutta.
Così il disco si apre con la strappapelle “One Minute You’re Here“, pezzo che fa pensare alle migliori cose di Springsteen dai tempi di Nebraska. L’ho detto.
Dopo la già raccontata Letter to you, troviamo “Burnin’ Train” canzone dal ritmo mattutino e segnata da un importante traccia ritmica, pura energia, pura forza, senza tanti giri di parole. “Janey Needs a Shooter” è una ballata dolce e calda che ricorda le immagini di neve e legno riprodotte dalle foto di Danny Clinch scelte per la copertina e per il video di Letter to you. Insieme a If I Was the Priest e Song for Orphans, Janey Needs a Shooter è una delle canzoni composte nel 1970 da Springsteen ma poi non entrate nel primo album Greetings from Asbury Park, N.J.. Anche per “Last Man Standing“, il ritmo è calmo ma l’andamento è solenne, del resto è il brano che sicuramente Springsteen regala a sé stesso, raccontando di ricordi e passioni, di coraggio delle idee ma anche di sconfitte. Non si può parlare di pezzo politico (sarebbe ucciderlo), ma di certo una sorta di testamento esistenziale.
The Power of Prayer è classico pezzo energico alla Bruce Springsteen, anche se forse è il momento meno ispirato del disco, rimanendo comunque una buona canzone, grazie soprattutto ad un arrangiamento molto azzeccato in cui spicca il sassofono di Jake Clemons che emoziona ricordando tanto il suo compianto papà. House of a Thousand Guitars è una dedica d’amore per la musica, per la vita, per la strada. Emozionante. L’energia mai sopita dell’animale da palco, dell’uomo che corre e sputa fuori con efficacia in Rainmaker, uno dei pezzi più potenti di tutto Letter to you.
If I Was the Priest è uno splendido esempio di songwriting, dire altro sarebbe sprecare le parole. Notte, corsa, emozioni forti per Ghosts, dove la E-Street band sale in cattedra e rinfresca il significato di suonare insieme. Visionaria e malinconica Song for Orphans, tra batteria e chitarre folk è uno degli appuntamenti migliori del disco. A chiudere Letter of you arriva I’ll See You in My Dreams, pezzo non memorabile ma sincero e ben suonato, quasi uno standard ad augurarci la buona notte, oppure una buona fortuna.