Un borghese piccolo piccolo - Vincenzo Cerami

Un borghese piccolo piccolo – Vincenzo Cerami

Un borghese piccolo piccolo di Vincenzo Cerami, in poche pagine, riesce a tracciare un quadro feroce e spietato di una fetta di società italiana degli anni ’70. Ma siamo sicuri che si tratti solo di passato? La piccola borghesia di oggi è tanto diversa una volta eliminati la patina tecnologica e le mostrine posticce?

Un borghese piccolo piccolo di Vincenzo Cerami

Con una scrittura asciutta Vincenzo Cerami (vai alla biografia) tratteggia un quadro impietoso di una fetta della società italiana degli anni ’70. La storia di Giovanni Vivaldi, impiegato ministeriale nell’ufficio pensioni di Roma, marito di Amalia e padre del neo ragioniere Mario Vivaldi, volge al meglio, cioè verso un ulteriore gradino di ascesa sociale. Giovanni viene da una famiglia di contadini abruzzesi ed è riuscito a ritagliarsi il proprio ruolo presso il Ministero, il figlio Mario si è fatto addirittura ragioniere, potendo così ambire ad una condizione ancora migliore.

L’ultimo ostacolo verso questo sogno piccolo borghese è il concorso che Mario deve superare per ottenere il posto di lavoro che gli aprirà le porte ad un’esistenza con il pilota automatico. Così arriva il tempo per Giovanni di riscuotere il credito del lavoro di una vita, del suo contributo silenzioso al funzionamento della macchina. Si rivolge al capoufficio per ottenere una raccomandazione che, puntualmente, arriva. A rovinare tutto giunge la morte improvvisa di Mario, cui fa seguito la vendetta di Giovanni contro l’assassino del figlio. (leggi altre recensioni)

Vivaldi Giovanni, un borghese piccolo ma feroce

Su due piedi non ricordo un altro libro tanto feroce e spietato. Giovanni, assoluto protagonista del libro, ha un obiettivo in mente, quello della piccola scalata sociale della sua famiglia, e niente e nessuno potrà impedirglielo. Si tratta di un uomo come tanti, un grigio impiegato senza grilli per la testa che insegue ben miseri sogni, eppure la cattiveria che gli sale quando si tratta di sistemare il figlio è animalesca, spietata verso il destino del resto del mondo, persino beffarda per quel che i Vivaldi riusciranno ad ottenere ed altri no. La violenza di questo misero arrivismo è rispecchiata in una scena in cui padre e figlio sono a pesca ed il pesce ha abboccato (clicca qui per leggere altre citazioni):

“Un sasso” gridò il padre al figlio. “Trovami un sasso”.
Mario raccolse una pietra e la passò al padre. Questi poggiò il pesce su un ciottolo nel terreno e cominciò a colpire fino a fracassare la testa del guizzante animaletto. La pietra si coprì di sangue, ma il pesce sembrava avere sette vite: quando Giovanni non se lo aspettava più, ecco che la coda aveva ancora un altro fremito… e allora giù, giù a colpire con quel sasso aguzzo.

Vincenzo Cerami
Vincenzo Cerami


Cerami non fa sconti
né alla pochezza della quotidianità di Giovanni né al limitato orizzonte dei suoi sogni né all’egoismo dei suoi mezzi con cui cerca di raggiungere l’obiettivo. Lo segue passo passo per una Roma acida, paralizzata in se stessa: in casa, al lavoro, per strada, nei suoi pensieri, braccando colui che è già preda di una vita asfittica eppure agognata. Il testo non lascia spazio a malintesi, tutto procede con una precisione priva di ambiguità.

Non manca una certa ironia tagliente, fino ad arrivare alla rappresentazione grottesca dell’ingresso di Giovanni nella massoneria, sempre finalizzato alla raccomandazione del figlio. La cerimonia è talmente goffa, talmente ridicola da mettere alla berlina un ritaglio di società che poi è lo stesso in cui vive Giovanni, poiché i fratelli massoni sono gli stessi colleghi di lavoro.

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La rabbia di un piccolo borghese

Poi arriva la morte violenta del figlio ad infrangere i solidi sogni di Giovanni. L’impiegato riuscirà ad arrivare all’assassino e ad ucciderlo senza pietà, senza segno di pentimento, con l’unica preoccupazione di non essere beccato. Dunque il fiume cheto in cui navigava la vita di Giovanni covava nel letto una violenza sopita, tenuta a bada da una routine e un incasellamento che consentivano di guardare poco oltre il proprio naso con il paraocchi e, a conti fatti, con il paranima.

La rabbia in realtà non esplode in Giovanni, scaturisce lenta ma inesorabile nei suoi gesti che sono, anche negli atti più brutali, meccanici, quasi non vissuti. Giovanni covava da sempre una rabbia nascosta: per la sua iniziale condizione di indigenza, per una vita spesa da ingranaggio non riconosciuto, per l’obiettivo di sistemare il figlio Mario a tutti i costi, per una vita fatta di sacrifici tesi ad un’approssimazione troppo vaga e preordinata di felicità. La morte di Mario libera Giovanni dal contratto sociale permettendogli di deragliare dai binari che hanno tracciato per lui, gli consente di assicurarsi una vendetta amarissima nella misura in cui è così poco catartica.

Infine muore anche la moglie e Giovanni resta da solo a proseguire la sua vita grigia, come in realtà è sempre stata, condita da un’assoluta solitudine. Così Giovanni fa un calcolo di quanto potrebbe rimanergli da vivere, con uno spirito da borghese spento dentro, ma non a causa dei fatti occorsigli, bensì perché mai vissuto:

Togli e metti, per navigare sicuro verificò il problema con la prova del nove. Decise che più o meno gli restavano quindici anni da vivere, che non poteva escludere i cento anni e che comunque dieci erano quasi matematici.

Cerami ci racconta una realtà degli anni ’70, ma siamo sicuri che si tratti solo di passato? La piccola borghesia di oggi è tanto diversa una volta eliminati la patina tecnologica e le mostrine posticce?

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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