“Questo è un libro che mi ha fatto piangere molto, un libro duro”. Luca Bianchini ci ha parlato del suo Nessuno come noi. Un romanzo, con colonna sonora anni ottanta, che racconta di un gruppo di adolescenti alla scoperta della fine dell’immortalità.
Definire Luca Bianchini è controproducente, il rischio è di trasformarsi immediatamente in uno dei suoi personaggi. Meglio lasciarsi scorrere addosso la staffilata di parole ben cadenzate da stoccate ironiche e sarcastiche facendosi anche prendere un po’ in giro.
Andare ad una sua presentazione, leggere un suo libro o incontrarlo per un caffè non potrebbe che aumentare la confusione sullo scrittore torinese che da anni firma libri di successo e che con Io che amo solo te ha venduto 300.000 copie, cavandocene anche un film per la regia di Marco Ponti e nel cast Michele Placido, Laura Chiatti, Riccardo Scamarcio.
Ironia, cura dei dettagli e voglia di sputtanare conformismi e manierismi fanno della scrittura di Luca Bianchini un’esperienza spumeggiante che ti scoppia fra le dita, mentre vorresti capire dove andrà ad immergersi la storia. Perché si percepisce l’arrivo di qualcosa di inaspettato.
I personaggi di Bianchini, sempre cesellati con dovizia di particolari, aprono bocca per esprimere se stessi e al contempo il loro stereotipo, scoprendo che spesso la nostra identità è anche fatta in larga misura dall’immagine che scegliamo di noi. Cliché compresi.
Nessuno come noi è un romanzo che parte da un’idea splendida che lo stesso Luca Bianchini ci racconta al telefono. L’adolescenza è il momento in cui siamo tutti eroi, tutto è per sempre, tutto è per tutta la vita, ti senti immortale.
In Nessuno come noi racconti di un gruppo di adolescenti travolti dalle loro vicende sentimentali e ideologiche, affettive e famigliari, in cui il protagonista Vince, buono e bravo a scuola a cui però tutti fanno del male, trafitto da mille frecce riesce comunque a portare la pace tra una citazione di Ariosto e una felpa (rigorosamente col cappuccio) della Best Company.
Quanto c’è di tuo in Vince? Quanto ti rivedi nello studente modello (ma figo) capace di riscattarsi socialmente grazie al suo talento in latino? Molto, ma l’ho scoperto solo trent’anni dopo di essere stato Vincenzo…
Quando ho riaperto il diario per iniziare a scrivere sono rimasto sconvolto, ho scoperto molte cose dimenticate del passato. Questo è un libro che mi ha fatto piangere molto, un libro duro, un libro che mi ha provocato pianti imbarazzanti per cose che avevo nascoste dentro e che da trent’anni non andavo a scomodare. Pensavo di essere stato più felice, più sereno e invece ho scoperto molto sulla mia adolescenza.
La tua adolescenza com’è stata? Mi sembrava bene, ma poi scoperto tanto dolore, tanta inadeguatezza. Mi ha davvero fatto soffrire ripensarci.
A proposito di adolescenza, tu che immagini hai di quel periodo della vita? Quale credi sia il legame fra i giovani di oggi e quelli di trent’anni fa? Prima di iniziare a scrivere questo libro sono ritornato al Liceo Majorana di Moncalieri per incontrare gli studenti di oggi e capire in che cosa erano diversi da noi, ma ho scoperto che eravamo identici, stessa aria scazzata.
E poi l’adolescenza è il periodo del per sempre: dell’immortalità, del senso di eternità. Non si pensa alla morte, ci si sente supereroi. In questo davvero credo che tutti gli adolescenti siano uguali. Forse perà una differenza c’è…
Quale? Oggi sono meno spavaldi di noi, noi andavamo a prenderci i no in faccia guardando negli occhi, era più difficile riemergere. Oggi mettere un like o un cuore attraverso un telefonino richiede meno coraggio, si può essere meno diretti, non guardare negli occhi.
Quindi la tecnologia ha cambiato qualcosa anche nell’adolescenza? Sì certo, ma non è colpa loro o solo della tecnologia, è anche della paura diffusa di cui tutti siamo vittima. Oggi se ci chiama un numero sconosciuto entriamo nel panico, pensa ad una volta quando correvi al telefono e non sapevi mai chi c’era dall’altra parte.
Parlando della tua scrittura, di Nessuno come noi in particolare, si nota un’attenzione ai dettagli, i nomi delle marche e dei negozi sono sorprendenti. A che punto arrivano i dettagli nella tua scrittura? I dettagli, che io chiamo i ricami, arrivano dopo e sono per me la parte più bella, quella in cui mi diverto.
In Nessuno come noi Vince convince la famiglia a comprare una felpa della Best Company, ma non una qualsiasi: quella con il cappuccio, quello è il motivo di vanto. Un dettaglio che non sfuggirebbe a chi ha vissuto quegli anni. C’è un momento in cui la felpa diventa col cappuccio, i jeans diventano Coveri, la moto diventa il Tuareg.
Per questo libro c’è stato un lungo lavoro di ricerca, un viaggio all’indietro nel tempo in cui amiche e amici mi hanno raccontato nei particolari le loro giornate di trentanni fa, scandendo tutte le marche utilizzate e i negozi in cui andavano. Negozi e marche che spesso ora non esistono più.
C’è un omaggio alla letteratura in Nessuno come noi? Qual è il tuo rapporto con la letteratura? Amo la letteratura fa parte nel profondo della mia vita. Poi la poesia, la letteratura ti sfuggono, le dimentichi ma mentre non ci pensi arrivano a sorprenderti. Per questo libro ho riletto molti classici, sulla citazione di Betty Bottone (la Professoressa di Nessuno come noi) dell’Orlando Furioso ho passato tanto tempo, volevo che fosse un chiasmo perfetto ma anche comprensibile, chiaro.
Luca Bianchini non si lascia afferrare, scivola via come una farfalla o come una pantera e, con la stessa leggerezza, continua a regalare libri che scivolano leggeri dentro al cuore con la sfilza di personaggi sognatori e concretissimi.
Non è difficile pensare che Nessuno come noi diventerà un altro grande successo, coi suoi adolescenti paninari e dark e tanta insicurezza tra i risvolti dei jeans.
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