Il Festival InQuiete, giunto ormai alla quinta edizione, andrà in scena dal 29 ottobre al 1 novembre a Roma. Per chi ancora non lo conoscesse, si tratta di un festival al femminile, dedicato alle scrittrici e alla loro capacità creare letteratura. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Barbara Leda Kenny, ideatrice del Festival assieme a Viola Lo Moro, Francesca Mancini, Barbara Piccolo, Maddalena Vianello. Tra il ritorno in presenza e le problematiche attuali dell’editoria al femminile, Barbara ci ha mostrato qual è il vero spirito di questo festival
Descrivi in poche parole il Festival InQuiete. InQuiete è un festival di scrittrici, vogliamo dare parola alle donne e forza al loro immaginario, perché crediamo che abbia un potere trasformativo di una realtà che è ancora troppo spesso opprimente per le donne. E’ un festival gratuito, senza barriere architettoniche, è un festival di quartiere fuori dalle grandi location in cui di solito si svolgono i festival, ci piace pensare che produciamo bellezza accessibile a tutti e tutte.
È stato difficile assemblare il programma di questa edizione? Che cosa, tra gli eventi in programma ti ha reso più orgogliosa? Assemblare il programma di inQuiete fortunatamente è sempre la parte facile e bella, grazie alla complicità delle autrici e al sostegno delle case editrici. Quest’anno però sono molto orgogliosa della presenza di tante voci e autrici nere. Credo che Black lives matter sia stato un punto di non ritorno e che l’industria culturale debba assumersi la responsabilità di mettersi in discussione soprattutto quando costruisce spazi di visibilità e parola pubblica e fare in modo che questa parola pubblica sia complessa e diversa per provenienza, generazioni, appartenenza e queste voci siano portatrici di istanze e punti di vista anche scomodi. Siamo sempre state molto attente a ospitare autrici che scrivevano in italiano come seconda lingua, attente agli esordi, e a una presenza eterogenea tra piccole e grandi case editrici, tra autrici più mainstream e più di nicchia, era arrivata l’ora di alzare l’asticella dell’attenzione anche sul colore. In questo Igiaba Scego amica e scrittrice è stata fondamentale così come la competenza di Giulia Riva, libraia di Griot una libreria di Roma specializzata in letteratura araba, africana e delle diaspore.
Quanto conta tornare alla presenza dopo l’edizione scorsa in cui lo streaming l’ha fatta giocoforza da padrone? Moltissimo, incontrarsi e riconoscersi è il motivo principale per fare un festival. Lo streaming come unica forma di dialogo con il pubblico è molto limitato. Anche se dello streaming non ne faremo più a meno ha permesso a moltissime persone di seguirci da tanti luoghi diversi.
Parlaci del progetto LetteraFutura Se penso al seme da cui è nata LetteraFutura era una chiacchiera da bar, come spesso accade le cose migliori nascono davanti a un bicchiere di vino, e si parlava dei rapporti epistolari per cui abbiamo testimonianza di come nel passato chi componeva poesie o opere letterarie li mandasse in lettura a scrittori e scrittrici affermate e di come oggi non sia più così e non ci sia quella possibilità di scegliere un mentore o una mentore. Ci siamo interrogate su come si esordisce e di come esordire non è pubblicare un libro ma entrare nella comunità letteraria. Lettera Futura vuole quindi identificare nuove voci selezionando un esordio che viene editato e pubblicato dalla casa editrice Solferino, ma vuole anche accompagnare questo esordio costruendogli intorno una rete di scrittrici che leggano e presentino il libro, di librerie indipendenti che lo ospitino, di critica che lo attenzioni. Ed è questa seconda parte, quella che potremmo dire di “debutto in società” che credo sia la più interessante e innovativa. Sempre intorno a questa idea, nella cornice del Festival abbiamo costruito il programma di mentoring, in cui scrittrici affermate accompagnano voci emergenti nel percorso di affinare la scrittura per trovare una voce propria.
Editoria al femminile. Esistono delle reali resistenze sulle scrittrici donna? E se sì, questa resistenza è più del pubblico o causata da una filiera editoriale dominata dal maschile? La seconda che hai detto. C’è un pregiudizio, devo dire particolarmente duro a morire in Italia, per cui gli uomini vendono di più. Un pregiudizio appunto, perché per le donne è difficile farsi pubblicare, ma poi il pubblico (che è fatto principalmente di lettrici) le apprezza e le segue. Se le case editrici investissero sulle autrici quanto investono sugli autori probabilmente il mercato editoriale sarebbe diverso.
Hai a disposizione tre libri, un classico e due contemporanei: cosa ci consigli? Siamo a inQuiete e ogni anno apriamo il festival con un appuntamento dedicato a Virginia Woolf, quindi direi Una stanza tutta per sé: è un libro di cui abbiamo ancora bisogno. Tra le contemporanee io ho una passione per Valeria Parrella (di cui le inQuiete sanno non faccio alcun mistero) e Letizia Muratori, ma quest’anno non saranno al Festival quindi vi segnalerò due proposte secondo me molto interessanti di questa edizione di inQuiete: Le Cattive di Camila Sosa Villada che racconta la vita di un gruppo di transessuali a Cordoba una cittadina argentina (una prosa fantastica e un risultato che sembra il remix di Porpora Marcasciano e Pier Vittorio Tondelli, leggete l’ottima recensione di Ciabatti) e Oliva Denaro di Viola Ardone, autrice che abbiamo amato moltissimo per il Treno dei bambini e che ci spiazza raccontando una pagina di storia italiana per ricordarci quanto è nuova e quanto è stata coraggiosa la conquista della libertà delle donne in Italia.