Abbiamo intervistato Sergio Ruzzier, autore e illustratore di libri a figure, facendoci raccontare il processo creativo che lo guida, le emozioni riversate su carta sotto forma di parole e figure, approfondendo alcuni libri pubblicati, nell’attesa di gustarci nuove produzioni.
Ho conosciuto Sergio Ruzzier prima come autore di libri a figure, poi come persona a un corso di Formazione di appropriazione narrativa tenutosi alla Fondazione Querini Stampalia.
Quando leggo un libro penso sempre a come può essere l’autore, a come può vivere la sua quotidianità, da cosa prende ispirazione, qual è la sua quotidianità e Sergio Ruzzier, a Venezia, durante il nostro incontro, si è mostrata una persona umile e gentile, si è raccontato tra parole e immagini e ci ha messo subito a nostro agio. Ci ha messo al centro del corso e ci ha posto domande non da insegnante, genuine, pesanti ed estremamente vere.
Abbiamo così deciso di intervistarlo, per poter trasmettere ciò che ci ha regalato in quelle ore, anche ad altri. In fondo, noi donne, si sa, siamo altruiste.
Il tuo lavoro generalmente è caratterizzato dal contrasto tra temi importanti e colori tenui e dolci e dalla capacità di trasmettere messaggi di spessore con l’uso di poche parole. Come nasce un libro a figure? Il testo segue le immagini o viceversa?
Ogni libro nasce in modo diverso. In un libro a figure come Stupido libro! o Due topi parole e immagini nascono e si sviluppano insieme. Non potrei mai scrivere il testo senza allo stesso tempo farmi almeno un’idea di cosa si vedrà sulla pagina. E poi continuo a lavorare contemporaneamente a questo e a quello, limando di qua e rimpolpando di là.
Nei libri a figure che illustro su testi altrui, invece, per forza di cose parto da un testo: lo leggo, lo rileggo, lo suddivido in doppie pagine (è bene che questo compito di suddivisione sia sempre lasciato all’illustratore), comincio a fare schizzi di personaggi e cose e poi finalmente lavoro al dummy, o menabò. Quando questo è approvato procedo con i disegni definitivi.
Per i libri di Fox e Chick è diverso. Essendo storie a fumetti il cui testo è un dialogo, mi concentro prima su questo, ma sempre comunque avendo bene in mente in quale vignetta e in quale pagina e in quale doppia pagina quel pezzo di dialogo andrà a finire.
All’interno di Stupido libro! vediamo come il personaggio che viaggia tra le pagine scopra il ruolo fondamentale delle parole. Mi sono sempre immaginata che fosse una sorta di tua autobiografia e del tuo primo incontro con la scrittura. È così? (leggi la recensione di Stupido libro!)
Un po’ sì, anche se non l’ho fatto apposta. Da piccolo facevo fatica a leggere i libri “lunghi”, soprattutto quelli senza figure. Mi ricordo benissimo la frustrazione e il senso di inadeguatezza davanti alle aspettative degli adulti. Coi fumetti e i libri illustrati, compresi i libri d’arte, mi trovavo invece completamente a mio agio.
Ecco, non so perché non si mettano a disposizione dei bambini i libri d’arte, le monografie di pittori e scultori, ma così, col solo intento di mettergli davanti agli occhi un po’ di bellezza, senza che si debba per forza imparare qualcosa.
Alcune tue opere ti vedono solo come illustratore. In base a cosa scegli i libri da illustrare?
Vorrei illustrare solo testi scritti bene, interessanti, originali, strani, divertenti ma soprattutto che mi lascino libero di interpretare e di raccontare con le mie figure storie addirittura alternative al testo.
In questo senso Roar Like a Dandelion di Ruth Krauss, che Topipittori pubblicherà quest’anno, è il mio testo ideale. Preferisco evitare libri con un “messaggio” o con intenti troppo spudoratamente didattici. In realtà poi mi è capitato, in periodi di magra, di accettare manoscritti non proprio appassionanti. Spero succeda sempre meno.
Quanto è importante il rapporto tra scrittore – illustratore ed editore? Hai collaborato molto con la casa editrice Topipittori, come ti trovi con questa realtà?
L’editore migliore è quello che capisce le tue intenzioni poetiche e ti aiuta a essere coerente con te stesso senza diventare troppo ermetico (a meno che quello non sia il tuo intento).
Per me è stata fondamentale la mia prima editor, Frances Foster, che aveva un’imprint presso Farrar Strauss & Giroux a New York. Io avevo dei dubbi sulle mie capacità di raccontare storie che non fossero troppo personali e quindi poco interessanti per i lettori. Lei mi ha convinto che invece avrei potuto e grazie a lei ho cominciato la mia carriera come autore oltre che illustratore. Anche il modo in cui mi aiutava a foggiare le storie è stato importantissimo. Più che far correzioni o offrire suggerimenti, mi poneva delle domande sulle mie intenzioni.
Con Topipittori non ho ancora avuto occasione di creare un libro nuovo (hanno per ora pubblicato titoli già apparsi negli Stati Uniti). Però ho una grande ammirazione per quello che fanno, per la cura che mettono in ogni libro e per l’originalità e il coraggio delle loro scelte editoriali. È un vero piacere collaborare con loro.
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Da poco hai pubblicato testi per la La Grande Illusion, scritti, a mio avviso, complessi e densi. Rimasugli, ad esempio, è un testo commovente, che lascia al lettore un senso di vuoto. Ce ne vuoi parlare? (leggi la recensione di Rimasugli)
Non era mia intenzione lasciare nel lettore un senso di vuoto. Volevo solo descrivere una morte, la morte di un personaggio della cui vita si sa molto poco, quasi niente. Questa storia l’ho composta di getto, senza pensare a un senso preciso. Mi fa piacere che risulti commovente, però.
Invece Una vita d’artista, sempre de La Grande Illusion, è una vera e propria biografia di un artista narrata per immagini e poche parole. Mi è sempre piaciuto leggere biografie cortissime, di artisti ma non solo. O guardare i cicli di affreschi nelle chiese, in cui spesso si raccontano le vite dei santi. Questa è appunto un po’ come un’agiografia, senza però intenti didattici o morali.
Sempre per la Grande Illusion hai pubblicato I Pretesti. Vuoi raccontare ai nostri lettori dove sta la genialità del libro in questione?
Non so se e dove si possa trovare la genialità. Posso dire che è il libro più intimo che io abbia mai realizzato. È una sorta di autobiografia della mia infanzia, narrata attraverso interpretazioni visive di frasi estrapolate da sedici libri che ho letto da bambino o ragazzo.
Come dicevo prima, io ho avuto un rapporto ambiguo coi libri: li amavo e allo stesso tempo ne ero intimorito. Diciamo che Pretesti è stato un modo per rivivere quelle emozioni e riproporle attraverso i miei disegni.
E per finire, in quale tra i tuoi libri pensi che si veda maggiormente Sergio Ruzzier? Quale libro più ti descrive?
Domanda difficilissima. Immagino che ci sia un po’ di me in tutti i libri che ho scritto e illustrato. A volte riesco a essere personalissimo e autobiografico anche in libri che illustro solamente, come appunto Roar Like a Dandelion. Uno dei miei primissimi libri, non ancora pubblicato in Italia, è The Room of Wonders: rileggendolo adesso capisco che il protagonista ero io. Comunque anche nelle storie di Fox e Chick mi ritrovo completamente, anche se a pezzi e bocconi.
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