Silvana Gandolfi ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande. Ne è scaturita un’intervista tutta da gustare, in cui la scrittrice di Io dentro gli spari (qui trovate la nostra recensione) ci ha raccontato, tra le altre cose, il valore della fantasia, il proprio approccio alla scrittura e una preziosa descrizione del suo Io dentro gli spari.
Quando hai iniziato a scrivere libri per l’infanzia? Ho iniziato molto tardi a cinquant’anni, prima ho scritto molte cose: racconti per la radio, romanzi rosa, oroscopi per le riviste femminili, lettere per cantanti famosi.
Poi Donatella Gigliotto, una mia amica a Milano, mi disse che stava curando per Salani una collana di libri per bambini “Gli Istrici”, incuriosita provai a scrivere un racconto che le mandai ancora a metà. A Donatella piacque molto e mi disse di andare avanti, così iniziai la mia avventura nella letteratura per l’infanzia. Da quel momento ho avuto un successo grandissimo, inaspettato. Era anche la prima volta in cui scrivevo col mio vero nome perché prima sia i romanzi rosa che le lettere per cantanti famosi erano firmati con uno pseudonimo.
Cosa cambia tra scrivere per un pubblico di ragazzi e di adulti? Per me nello scrivere per ragazzi è più facile usare l’immaginazione a campo pieno, andando nell’impossibile, attraverso la fantasia muoversi nel mondo nell’impossibile. Mi piace anche nella letteratura per adulti quando c’è la fantasia. Nella letteratura sudamericana per esempio, se pensi a “Cent’anni di solitudine”, o anche Calvino o Buzzati, ci sono tanti scrittori per adulti che scrivono con l’immaginario. A me piace molto quando entra l’immaginazione nella scrittura.
Non mi piacciono i fantasy puri, quelli imperniati tutti su un mondo fantastico, mi piace la fantascienza a volte.
Hai citato la scrittura sudamericana, quindi il surreale che entra nel reale. Si infatti, nella letteratura fantasy tutto si svolge in un mondo di maghi, fate, draghi, cioè un mondo completamento inventato, invece a me piace che ci sia un solo elemento magico nella realtà quotidiana.
C’è un rapporto con la fantasia nei tuoi libri molto forte sia nel tuo tipo di scrittura, sia nei tuoi personaggi che a volte usano la fantasia per salvarsi. Qual è il tuo rapporto con la fantasia? Da scrittrice quasi sempre nei miei romanzi nascono da un desiderio impossibile, per esempio “Pasta di Drago” nasceva dal desiderio di poter ringiovanire di un anno al giorno, un desiderio legittimo in una signora di una certa età. Giocando con questo pensiero mi sono accorta che questo processo mi avrebbe portato a scomparire, a tornare bambina sempre più indietro fino a scomparire.
Oppure il desiderio di avere un sostituto che mi sostituisca nelle situazioni che mi creano stress o ansia. Da questo desiderio è nato il mio primo libro “La scimmia nella biglia” ovvero la scimmietta che sostituisce la bambina quando non ha voglia di fare qualcosa.
Quindi i miei libri nascono spesso da un desiderio personale che nella realtà è impossibile da realizzare.
È anche un modo di investigare la realtà quotidiana mettendo le lenti della fantasia? Se vuoi sì, c’è anche dell’autoanalisi, ma più che altro è un gioco quello di portare a conseguenze estreme e vedere cosa succede se un alter ego ti sostituisce tutte le volte che non hai voglia di essere dentro te stesso. Sarebbe molto comodo tra l’altro.
Per esempio c’era un momento in cui non riuscivo a scrivere più niente per bambini, il classico momento buio di ogni scrittore che non riesce a trovare nulla di cui scrivere, e mi sono detta che sarebbe comodo avere un angelo custode che mi suggerisse la trama, io sarei apposto, e così è nato “Qui vicino mio Ariel” dove ho raccontato proprio questa storia.
Come si fa coniugare scrittura per l’infanzia e temi importanti? Nel libro Io dentro gli spari ti sei occupata addirittura di mafia. Quello è un libro che ha avuto un genesi molto diversa perché ovviamente nel tema della mafia non ci vedevo nulla di immaginario, non poteva esserci un elemento fantastico che risolveva i problemi.
Lì è nato in maniera diversa, non era un desiderio impossibile, è stato un mio amico magistrato che mi raccontò una storia.
Come suo primo incarico di magistrato gli capitò di dover interrogare un testimone di giustizia che aveva sei anni e mezzo, un bambino molto piccolo che era in macchina con il padre e lo zio sui sedili posteriori, quando i mafiosi hanno sparato agli adulti lui è rimasto ferito gravemente ma si è salvato. Qualcuno che sentì gli spari avvertì la polizia e lo trovarono ancora vivo, lo portarono in ospedale e lo salvarono. Il mio amico magistrato andò ad interrogarlo ma il bambino non voleva parlare con uno sbirro, c’era omertà. Questa storia commosse molto il mio amico magistrato allora molto giovane.
Mi colpì molto questa commozione e lì per lì pensai che era una magnifica storia, sarebbe stato molto bello raccontarla ma io sono una scrittrice fantastica e non ne sarei stata in grado. Ma la storia mi rimase dentro, alla fine chiamai questo mio amico che stava in Sicilia e gli chiesi se era il caso che io scrivessi di questa storia o se fosse negativo, meglio non farla. Lui mi disse di scriverla, di dare voce a questo racconto e così ho cambiato i nomi, i luoghi ma la storia è assolutamente fedele alla realtà.
Tutta la parte di Santino è piena di elementi completamente veri, persino quando è nella stanza a specchio e i poliziotti si accorgono che lui non è abbastanza alto per vedere al di là del vetro i possibili assassini e così gli portano uno sgabello, quello è un elemento raccolto dalla realtà. Nella realtà non avevano pensato che un testimone così piccolo non avrebbe visto al di là del vetro.
Anche tutta la procedura attraverso cui si diventa testimoni di giustizia è tutto preso dalla realtà, il cambio del nome, di paese, il programma di protezione. Scrivendo per bambini ho addolcito alcune cose, le ho rese meno gravi rispetto alla realtà. Per esempio, al bambino vero i medici furono costretti a togliere la milza, nel libro non avuto il cuore di fare una cosa così forte, per ciò l’ho escluso.
Nella realtà poi il processo si concluse con una insufficienza di prove, perché il giudice pensò che il bambino potesse essere stato influenzato dalla televisione o dall’aver sentito alcune cose e quindi gli assassini vennero rimessi in libertà Questo nel libro è un elemento modificato perché volevo che il messaggio del libro fosse di fiducia nella giustizia. Comunque nella realtà due anni dopo gli imputati furono reclusi nel carcere di massima sicurezza per altri reati contingenti e quindi anche riconosciuti colpevoli dell’assassinio del padre del bambino.
Tu scrivi durante tutto il giorno o hai un momento particolare? No io scrivo la mattina, appena sveglia dopo colazione, cerco di non uscire di casa per concentrarmi sulla scrittura, a volte scrivo quattro ore di fila e quindi se scrivo bene al mattino riesco a scrivere il pomeriggio, ma non parto mai da pomeriggio o sera.
Quando ero molto giovane scrivevo di notte, ma erano altri tempi, ora è cambiato.
C’è uno scrittore che ti aiuta, quando hai una crisi di idee, a rimetterti a scrivere, qualcuno che funga da miccia? Qualcuno che con una pagina riaccende la voglia di scrivere? Non c’è uno ma molti in diversi periodi, Per esempio c’è Stevenson, io ho un amuleto, una bottiglina di cristalli di Rocca che ha dentro dei semini che ho raccolto io sulla tomba di Robert Louis Stevenson all’Isola di Samoa. Stevenson è un autore che amo molto anche perché lui viaggiava molto e abbiamo questo in comune. Poi però ci sono altri autori come Conrad, Cechov autori disperati che temevano di non avere nulla da dire e che hanno scritto in quello stato capolavori come “Il giardino dei Ciliegi”. Mi consolo quando sono un po’ giù e mi dico però anche Conrad, anche Čechov …
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