La mancanza di immaginazione di chi è contro l’immigrazione

La mancanza di immaginazione di chi è contro l’immigrazione

Cosa spinge una persona a definirsi anti immigrazione? Di solito provo ad estrapolare le sue ragioni per contrastarle, a questo giro, sulla scia de La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt, mi è venuto da osservare quel che non riesce a vedere, quel che non sa immaginare e che la imprigiona in se stessa in una galera in cui è il suo stesso secondino.

La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt

“Eichmann non era uno Iago né un Macbeth, e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che “fare il cattivo” – come Riccardo III – per fredda determinazione. […] Per dirla in parole povere, egli non capì mai che cosa stava facendo. Fu proprio per questa mancanza di immaginazione che egli poté farsi interrogare per mesi dall’ebreo tedesco che conduceva l’istruttoria, sfogandosi e non stancandosi di raccontare come mai nelle SS non fosse andato oltre il grado di tenente-colonnello e dicendo che non era stata colpa sua se non aveva avuto altre promozioni. In linea di principio sapeva benissimo quale era la questione, e nella sua ultima dichiarazione alla Corte parlò di un “riesame dei valori” imposti dal governo nazista. Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza d’idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo. […] Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo.”

Così scrive Hannah Arendt ne La banalità del male. A dire il vero scrive molto altro, ma questo passo ha dato l’abbrivio alla serie di rotolanti e non rutilanti suggestioni che mi hanno portato a esporre quanto segue. Non vuole essere un parallelismo assoluto tra quei fatti e l’attualità, sono solo pensieri che si sono aggrovigliati fino ad essere sputati nella loro sicura banalità.

Mi è venuto da guardare alla mancanza di immaginazione come ad un fattore rilevante alla base degli ululati anti immigrazione che il vento dell’attualità porta alle nostre orecchie. Non parlo di discorsi sull’immigrazione, su cui ognuno ha il diritto di avere ed esprimere la propria opinione, mi riferisco a quell’atteggiamento razzista, non ci sono parole più precise, che vede nell’immigrato un problema a prescindere, sulla sola base del suo provenire al di là del confine italico, su induzioni derivanti dal colore della pelle, sul desiderio di proteggere il proprio orto italico.

Così ho ribaltato la direzione dei miei pensieri e non ho più provato ad esplicare quello che queste persone sostengono, bensì ciò che non riescono a vedere, ad immaginare. Ecco qualche spunto che ne è scaturito.

Non riuscire ad immaginare luoghi senza confini

Come se confini politici e geografici fossero verità assolute e non circostanze casuali. I confini geografici esistono per essere superati, se l’essere umano non li avesse considerati in questa maniera non vivremmo nel mondo come lo conosciamo oggi, è un punto fondamentale dall’alba dei tempi. Riguardo ai confini politici c’è poco da girarci attorno, si tratta di linee su una cartina, dell’organizzazione che l’uomo ha voluto darsi, che per altro durerà fintanto che le convenienze rimarranno queste.

L’attaccamento ai confini è solo una scusa per perpetrare lo status quo, per sentirsi al riparo all’interno di un recinto che protegga da qualcuno che ne è al di là solamente nella mente, basterebbe abbattere questi confini in noi per non farli esistere fuori da noi.

Non riuscire ad immaginare esseri umani senza luoghi comuni

Per affibbiare giudizi sommari alle persone è necessario non riconoscerne l’individualità. Il luogo comune aiuta a semplificare, perché con una definizione possiamo riferirci ad un gruppo, e semplificare aiuta a tagliare i giudizi con l’accetta, che aiuta a sentirsi in gruppo e protetti.

La cosa buffa è che tale procedura viene applicata pure su se stessi: ci si dichiara sovranisti, italiani, anti immigrazione. Come se le definizioni potessero racchiudere quel che siamo, comprenderne le sfumature. È possibile essere sovranista sempre e comunque, a prescindere dall’argomento di discussione, dai vari casi? Non credo che se si ragionasse un minimo si accetterebbe di essere compresi dalle nostre stesse definizioni e se ci si libera dei luoghi comuni autoreferenziali, forse sarà più semplice liberare gli altri dai luoghi comuni che affibiamo loro.
Racchiudere un essere umano in un luogo comune significa impoverire l’umanità tutta.

Non riuscire ad immaginare le difficoltà altrui

Un classico della maggior parte delle persone è quello di avere ben presenti le proprie difficoltà, ma non riuscire a provare un’adeguata empatia per quelle degli altri, l’incapacità di mettersi nei loro panni. Non ci si riesce con parenti e amici, figuriamoci con persone ben più lontane. Così viene fuori che i problemi dell’accoglienza sono i nostri: non c’è lavoro per gli italiani perché darlo agli stranieri; non ci sono alloggi per gli indigenti italiani perché assegnarli agli stranieri; invadono le nostre strade, sporcano e bivaccano. Insomma, gli stranieri ci creano questi e altri problemi.

Ecco due fattori in cui si pecca d’immaginazione. Il primo è quello per cui, trovato il capro espiatorio, non si riesce a immaginare nessuna responsabilità personale per la situazione corrente, anzi fa comodo non pensarla, è come se ci avessero donato una comoda via d’uscita dalle nostre colpe. Il secondo è l’incapacità di immaginare da quale situazione provengano molti degli immigrati. Perché è facile vedere l’automobile più piccola rispetto a quella sognata che siamo costretti a guidare, ma è uno sforzo troppo grande e scomodo figurarsi un mondo in cui quello che non ci si può permettere non è l’automobile ma persino il suo sogno.

Non riuscire ad immaginare un altrove e un altro non pericolosi

In realtà un primo passo è già quello di immaginarsi un altrove e un altro, perché spesso ci si ferma prima di partire. Una volta spiccato il volo, resta da concepire altri luoghi e altre persone che, pur essendo diverse da noi per cultura e tratti somatici, non siano un pericolo. Ciò che conosciamo non fa paura, ci stringe nel suo abbraccio caloroso e rassicurante, ma se ci limitiamo a quello lo slancio ci rimane in tasca, qualsiasi slancio, è un camminare sul posto che non ci porta da nessuna parte. Per finire in altri luoghi, fisici e mentali, è necessario accettare di affrontare l’ignoto senza pensare di andare certamente incontro ad un pericolo.

Il fatto che l’ignoto venga presso di noi viene visto come un’invasione invece di cercavi fonti di arricchimento, si immagina di finire sconfitti come se i rapporti umani fossero una battaglia, quella dannata convinzione che ne rimarrà solo uno, che la condivisione sia una privazione e non un arricchimento.

Concludo nel modo più banale possibile, ma cosa posso farci, non sono davvero riuscito a immaginare un modo migliore.

Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion, too
Imagine all the people
Living life in peace
You, you may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you will join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world
You, you may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you will join us
And the world will live as one

Imagine, John Lennon

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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