Ma noi crediamo davvero di poter salvare il mondo?

Si tratta di una questione che mi ronza nella testa da quando sono rientrato da un viaggio di lavoro in India e no, non pensiate che io sia stato folgorato sulla via di Damasco solo perché ho visto qualche mendicante in più (eufemismo, of course) rispetto a quelli che vedo abitualmente tutte le mattine sotto al ponte di Viale Lunigiana

 

Intendiamoci, anche io mi sono commosso nel vedere le file dei più poveri tra i poveri, ordinatamente in ginocchio davanti alle bancarelle del Chandni Chowk, guardare fissi a terra aspettando che qualcuno gli lanciasse una briciola di cibo. 

Anche il mio cuore è stato devastato dalla solita bambinetta di cinque anni che a suon di linguacce e sorrisi si è fatta strada sgomitando tra i fratelli più grandi per chiedermi una semplice penna.

(Oh, piccola mia nata in un punto sperduto del deserto del Rajastan, scrivi contro questo mondo di merda, sovverti tutte le statistiche sulla condizione della donna in India, con questo piccolo strumento salvati dagli stupri, dall’oppressione di una società patriarcale, dalle malattie e dalla scarsa nutrizione, studia, diventa tutto quello che vorrai e chissà, un giorno forse ci rincontreremo, e potrai regalare una copia del libro che ti ha resa famosa al tuo vecchio mecenate bianco). 

Questa è banale empatia, e con la sola empatia il mondo non si cambia. E non voglio parlare nemmeno di quei pochi che fanno molto di più che commuoversi, che si attivano, che dedicano la loro vita agli altri, che non si limitano a mormorare tra sé e sé quanto tutto sia così ingiusto per poi subito dopo archiviare e tornare alla propria vita. Loro sì che sono meravigliosi, donchisciotteschi, vorrei avere una briciola del loro coraggio, vorrei anche solo una lacrima di quello spirito così alto e puro e paritario e nobile che non ti consente di dormire, persino di respirare, se sai che qualcuno nel mondo arranca. Ma sono pochi, e purtroppo il mondo non lo cambieranno.

Non voglio nemmeno provare ad affrontare i reali motivi per cui nessun disequilibrio potrà davvero cambiare. Non voglio -e non sarei comunque in grado- parlare di retaggi lunghi centinaia di anni, di politica, di armi, di mercati e di soldi, che vanno sempre e comunque in un’unica direzione. Non sono protagonisti di questo post nemmeno coloro che, deliberatamente, considerano ciò che succede fuori dai nostri confini un problema d’altri. Quella è gente meschina, e nonostante in Italia una loro emanazione abbia appena vinto le elezioni, voglio comunque ostinarmi a considerarla una minoranza.

Questo post parla di me, prima di tutto, ma anche della stragrande maggioranza di persone che vive nel primo mondo, gente normale, ordinaria, che fa un lavoro normale, che vive una vita normale, con un grado di istruzione medio elevato, sensibile probabilmente, eppure così immersa nella propria vita da non avere nessuna voglia di aprirsi agli altri. Gente figlia dell’occidente, gente che corre, che insegue obiettivi per lo più personali. Gente anche buona (per quello che può significare), che rispetta le regole, che si informa, che conosce il mondo e le sue tante storture. Gente che se glielo chiedi è perfettamente cosciente che fuori dai propri confini esistono milioni e milioni di persone in condizioni nemmeno paragonabili alla nostra. 

Gente consapevole, insomma, ma che sceglie di non guardare. E anche quando la realtà ti si schianta davanti, come nel mio caso in quei pochi giorni in India, bastano una mancata risposta su whatsapp, una mail che ti comunica grattacapi al lavoro, per tornare alla vita di sempre, senza che il brutto del mondo lasci traccia alcuna dentro di noi.  

E quindi mi chiedo: ma io, noi, quando diciamo che questo mondo andrebbe cambiato, ci crediamo davvero oppure si tratta della solita bugia ipocrita, utile solo a lavarci le coscienze?

Se ci diciamo davvero consapevoli, quanto vale questa nostra consapevolezza? 

Noi che se in metro un questuante ci chiede soldi diventiamo affetti da sordità selettiva, gli occhi vitrei che lo attraversano come se davvero non esistesse. Noi, che le rose del pakistano le compriamo solo se siamo ubriachi. Noi che se tutto va bene ci laviamo la coscienza versando 9,90 al mese alla Onlus che ci sconfinfera di più. Noi che magari doniamo il sangue e facciamo pure volontariato e nonostante ciò, “il nostro altruismo al guinzaglio” non riesce mai a spingersi oltre il recinto che delimita la mera considerazione dei vantaggi personali.

Perché in cuor nostro sappiamo che se facessimo davvero quel passo, se saltassimo la staccionata, il nostro afflato verso gli altri si scioglierebbe come neve al sole. 








Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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