Camilla Semino Favro, i retroscena di un’intervista assurda

Cara Camilla, da dove cominciare? Beh, forse prima di iniziare a chiederti scusa per tutto quello che abbiamo fatto in quelle ore che -per te, ma anche per noi- dovevano essere di lavoro, è giusto che almeno ci si provi a spiegarti perché siamo finiti così, e cioè palesemente fuori fase, ruotandoti attorno come satelliti impazziti mentre tu sembravi non perdere mai la rotta.

Da dove possiamo cominciare?

Credici, non è facile farlo. Più che altro perché non abbiamo la più pallida idea del perché una semplice intervista sia riuscita a trasformarsi in un qualcosa di così… curioso.

Abbiamo cercato di scovare nella memoria il momento esatto in cui il nostro incontro è girato in vacca, il punto esatto in cui da timidi siamo diventati pessimi, il giro di ruota che ha scardinato il meccanismo: uno dei due sostiene di averlo trovato, l’altro si sta ancora interrogando.

Per amore di varietà, se non altro, abbiamo adottato modi diversi per cercare di lasciarti un brutto ricordo, l’alcol ha agito in modo diverso su di noi: uno si è via via trasformato nel peggiore dei puntigliosi, con parentesi aperte nel bel mezzo di ogni tua risposta e convertendo da un certo punto in poi le domande in affermazioni; l’altro semplicemente si è abbandonato al vino sperando che potesse sciogliere ogni barriera, inalberandosi quando il compare gli faceva notare qualcosa, annuendo e pronunciando balbettii mentre rispondevi, assentandosi a tratti nei meandri della sua mente.

Insomma, non sappiamo spiegarlo, ma una cosa è certa: la colpa è nostra, non c’è il minimo dubbio.

Da quel giovedì sera siamo passati attraverso diverse fasi distinte. La prima, quella della mattina dopo, al netto di un cerchio alla testa grosso come un anello di Saturno, era di euforia. Come sempre due euforie declinate in modo personale: per uno il mondo incredibilmente girava dritto, c’era armonia nel creato e boh, tanto per citare uno che conosci bene: si dipingevano quadri sopra fogli a righe; l’altro invece si bullava della nostra professionalità ed era convinto che avessimo partorito una sorta di pietra miliare delle interviste, la più grande rivoluzione dai tempi di Marzullo.

Poi però, è arrivato il momento di lavorare l’audio e lì ci siamo resi conto che forse non tutto è andato come ci aveva convinto il post sbronza. Anzi, più andavamo avanti ad ascoltare la tua voce intrecciarsi alla nostra e più quel semplice dubbio si è trasformato in terrore. Ancora una volta l’ansia ha preso due strade parallele: uno era paralizzato dall’idea di aver mandato a puttane in una sera tutto il residuo della propria professionalità; l’altro temeva di aver dato fondo a tutta la propria sicumera teorizzante, fastidiosa pure per il cane dei vicini.

Ma ora basta piangere sul latte versato, visto che ormai la frittata è fatta, non ci resta che chiederti scusa, almeno per le cose più assurde che abbiamo fatto. E quindi, scusa per (ogni voce ha un colpevole ma non diremo a tutti chi, tanto tu lo sai):

– Essermi bullato con almeno due camerieri del fatto che stavamo intervistando una super attrice, probabilmente indicandoti col dito

– Aver esclamato a un certo punto: “Io ti fotograferei in tutte le maniere” (nel contesto, o anche solo nella mia testa, aveva pure un senso, ma mi rendo conto che l’ho buttata fuori proprio male)

– Aver affossato quasi subito la professionalità dell’incontro continuando a ripetere che tanto era una chiacchierata, approfittandone per sproloquiare sulla qualunque

– Essermi proposto come ufficio stampa, social media manager, videomaker e, probabilmente, anche come hair-stylist (quella del parrucchiere non si sente, ma è come se l’avessi detta)

-Per aver premesso ad ogni complimento, la giustificazione che nello spettacolo eri truccatissima

– Aver inveito contro le macchine e le moto che al loro passaggio coprivano la tua voce (come se il problema fossero loro e non i deliri dei due soggetti che avevi di fronte)

– Avere a un certo punto iniziato in maniera deliberata a chiamarti “Cami”

– Averti proposto, anzi imposto, teorie bislacche sull’arte tutta

– Averti interrotto tante volte da renderla praticamente un’intervista doppia

– Ad un certo punto nei filmati si vede che ti giri ridendo verso di me ed esclamandomi “ma come ti permetti”, ecco non vorrei mai sapere cosa ho detto in quella circostanza, mi scuso alla cieca

– Aver, in tutto questo, biascicato persino le parole bisillabe

E ora che abbiamo fatto mea culpa, mi sembra giusto puntualizzare una cosina che ci sta a cuore. Siamo imperdonabili, è vero, e forse quella sera tu non hai riso con noi, ma hai riso di noi. Però lo devi ammettere, ti sei divertita!

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