Filippo Magnini è stato assolto dall’accusa di doping che aveva gettato un’ombra infamante sulla sua carriera negli ultimi anni. È, per il due volte campione del mondo, la fine di un incubo.
Filippo Magnini può tornare a guardare il mondo a testa alta. A certificarlo è il TAS che ha ribaltato la sentenza di doping che si era abbattuta su di lui, riabilitandone l’immagine e spazzando via tutti i dubbi che si erano addensati sulla sua lunga carriera.
Una bella notizia, che rende giustizia a uno dei più vincenti nuotatori italiani, due volte campione del mondo, considerato all’unanimità uno degli uomini jet più forti di sempre.
Io non conosco Filippo Magnini, mi capita di vederlo spesso, in verità, perché frequentiamo la piscina della stessa palestra, ma ovviamente non lo conosco. I nostri orari sono traslati quel tanto che basta da permettermi di vederlo nuotare quando io generalmente sono già a mollo nell’idromassaggio a grattarmi l’amica di sempre, cioè la mia panza. Una sola volta abbiamo condiviso la corsia, esperienza durata poco più di cinque minuti, perché il mio amor proprio, nonostante l’età, i vizi e tutto il resto, è ancora stranamente forte. Non ho mai cercato di parlargli, salutarlo, apostrofarlo con un “Uè Filo”, non per qualche motivo in particolare, ma perché semplicemente il momento dell’allenamento è sacro ed è giusto non rompersi i maroni a vicenda.
Prima di andare avanti, una precisazione: questo, come avrete capito, non è un post sul doping, tantomeno sulle procedure che la giustizia mette in atto per combatterlo. È pacifico, la questione dell’uso di sostanze illecite nello sport è annosa e la battaglia contro questa piaga deve essere combattuta. Magnini, come molti altri (innocenti e non), si è ritrovato invischiato in un’indagine che per fortuna per lui, si è risolta nel migliore dei modi, anche se ha dovuto mettersi in stand by per qualche anno. Sulle diversità di metodo di giustizia ordinaria e sportiva potremmo parlare per ore, ma non è questa la sede. Purtroppo va così, e gli atleti sono per certi versi obbligati a subirne il corso.
Quindi, vorrei parlare di Magnini alla luce della sua assoluzione perché spesso in questi mesi, incrociandolo negli spogliatoi o ridendo tra me e me quando mi capitava di vederlo salutare un po’ imbarazzato le sciure dell’aquagym accrocchiate a capannello per ammirarlo in costume, mi sono chiesto cosa si potesse provare a essere Filippo Magnini in quel determinato momento storico. Non parlo del personaggio pubblico ovviamente, ma parlo di quel Filippo che per più di venticinque anni ha speso gran parte delle sue giornate (della sua vita, delle sue energie) ad affinare ossessivamente un movimento (il nuoto ad alto livello è forse una delle discipline più totalizzanti) e che, per un semplice sospetto, si è ritrovato a veder sgretolata la sua credibilità. Questo pensiero mi è tornato spesso, a maggior ragione in questi giorni, a poca distanza da uno degli anniversari più tristi per un amante dello sport, e cioè la morte desolante e solitaria di un altro atleta immenso, Marco Pantani. Cosa si prova a veder messa in gioco la credibilità di una parte importante della propria vita? Quanto può essere grande la rabbia, ma anche la vergogna, colpevoli o no, di vedere gli sforzi di gran parte del proprio lavoro sporcati da un dubbio, da un’ombra, dalla peggiore delle frasi “Sì, ma tanto si sapeva che…”. Quanto ci si può sentire soli se tutto ciò che hai fatto rischia di perdere di significato per qualcosa che non puoi controllare?
Perché se sei colpevole, il reato si trasforma in un compagno e in questi casi il potersi dire: “Me la sono cercata” dona un senso a tutta la faccenda. Ma se sei innocente, invece, sei solo come un cane (al netto dei familiari, s’intende), non hai nemmeno il senso di colpa a farti compagnia. Provare a immedesimarsi in questi casi non è facile, perché si tratta di un peso enorme, già impossibile da gestire per persone “normali” e con una vita ordinaria, figurarsi da chi, prima, ha avuto il mondo ai suoi piedi.
In questo mondo social di forche caudine, dove basta la semplice notizia di un passo falso per vedersi gettate addosso tonnellate di merda fumante, essere Filippo Magnini, dunque, deve essere stato maledettamente difficile. Per questo oggi sono felice per lui. Ma soprattutto oggi voglio ribadirgli la mia ammirazione: non per le medaglie ottenute in passato, o per la bramosia che suscita nelle sciure dell’aquagym, ma per le bracciate potenti e silenziose che ha dovuto tirare fuori dal cilindro per superare questo periodo buio.
photo by: @filomagno82