RoadToStramilano #8-8 – Il ritorno dello Yeti

Dopo tre settimane sono ritornato in pista ed ho scoperto che ho buttato via tutto ciò che di buono avevo fatto. Poi ho compiuto un ulteriore passo verso la verità ed ho compreso come ciò che ho buttato via era in fondo poca cosa. Un ritorno sul campo che sa di amara consapevolezza e stanco trascinarsi.

Mi sono fermato per tre settimane, ma giuro che non è stato per mancanza di volontà bensì per impegni di lavoro. Non che la mia volontà si sia ribellata, ha anzi costantemente riempito di carezze la mia coscienza durante questa pausa forzata, come a farle capire che un ritorno alla normale vita sedentaria sarebbe vista come una graditissima alternativa. Alla fine però sono tornato sull’asfalto già per due volte con due sedute differenti.

Il primo ritorno, ripetute non iuvant
Dopo un periodo di sosta forzata sarebbe bene partire in modo morbido, così che il fisico non si risvegli bruscamente dal torpore. Secondo voi io cos’ho fatto? Naturalmente una terapia d’urto, giusto per farmi mandare a fanculo dal mio fisico immediatamente. Dicasi ripetute un ciclo di allunghi e recupero, nel mio caso si tratta di: venti minuti di corsa lenta, cento metri di allungo e cento di recupero per dieci volte e infine un quarto d’ora di corsa lenta.
Ho incontrato nel pieno pomeriggio dell’Immacolata Concezione il mio compagno di allenamento (invece della solita ora dei lupi mannari) che mi ha subito espresso dubbi sulla scelta dell’allenamento con cui riprendere (anche lui è stato fermo) suggerendo piuttosto una corsetta leggera. Naturalmente il mulo che c’è in me si è ribellato senza un vero perché, se non quello di un’indigesta modifica dell’ultimo minuto in grado di farmi perdere le coordinate spazioumorali.
Siamo partiti, sotto un sole tanto simpatico quanto poco caldo, per i venti minuti di riscaldamento ad un passo a dir poco ridicolo, consapevoli delle insidie dietro l’angolo. Il problema è stato che l’angolo era davvero dietro, dietro il primo minuto. Sono entrato in difficoltà già dopo un minuto e mezzo, al quinto ho scoperto che sapore hanno i dolori all’anca, verso il decimo ho iniziato a vedere macchie rosse palesarsi ad intermittenza davanti al mio sguardo mediamente ancorato al suolo.
Così sciancato e in preda ad allucinazioni macchiaiole mi sono lanciato nelle dieci ripetute arrivando ad una comprensione superiore, ad uno di quegli stati di grazia che donano illuminazioni improvvise e fini a se stesse. In particolare ho provato sulla mia pelle com’è trovarsi in un sogno in cui tenti di correre e non riesci rimanendo quasi fermo sul posto. Posso confermarvi che non è una bella sensazione nemmeno nel mondo reale.
Concluse le ripetute ero ormai uno straccio, dolorante e annebbiato ho affrontato il quarto d’ora finale di corsa lenta con un passo imbarazzante anche per un vecchio con il girello. A quel punto le macchie davanti ai miei occhi sono diventate verdi, forse perché dal rosso dell’inferno in cui mi trovavo sono passato a intravvedere il verde dei prati del Paradiso che mi aspettava.

Il secondo ritorno, al suono del cardiofrequanzimetro
Ieri invece mi sono pregiato di fare i miei dieci chilometri sotto la soglia dei 155 battiti. Avendo già descritto la lentezza del mio passo in queste circostanze in una precedente pagina di diario, mi voglio soffermare su un altro punto.
Il tempo che ho fatto segnare è praticamente identico all’ultimo di tre settimane fa. Se consideriamo anche la fatica raccontata sopra le conclusioni che traggo sono due ed entrambe di merda. Dopo tre settimane è come se avessi buttato all’aria tutto, dopo due minuti di corsa mi sentivo in fin di vita proprio come prima che iniziassi ad allenarmi. Il fatto che i miei tempi siano identici a quelli del periodo in cui ero costante negli allenamenti rende palese che io oltre un certo limite non posso andare e quel limite è basso. A questo punto è chiaro che non ce la posso fare, ma come stradiavolo faccio a correre i dieci chilometri in quarantacinque minuti? Nemmeno se mi mettono una salsiccia da inseguire come stimolo.

Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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