Una preparazione ammantata di serietà richiede energie e tempo che non credo di avere e anzi mi stupisco di aver mai pensato di poter avere. Il mio fisico non si è ancora adattato e, a questo punto, credo mai si adatterà alla fatica degli allenamenti. A distanza di più di cinque mesi torno a casa dagli allenamenti ancora devastato come se avessi iniziato ieri.
Quando ho cominciato quest’avventura sapevo che avrei passato momenti difficili che speravo si sarebbero tramutati in successo trionfale. Immaginavo nitidamente la fatica che avrei provato dopo i primi allenamenti, ma poi prevedevo l’affievolirsi della fatica che sarebbe stato trampolino verso un’impresa improbabile e luminosa, tanto luminosa quanto improbabile. D’altronde, mi sono detto, a furia di darci dentro il mio fisico uscirà dal torpore ventennale e diverrà tonico e capace di assorbire dolori e sofferenze per lanciarsi verso la gloria. Il ragionamento, a pensarci tutt’ora, mi pare mantenga una logica ferrea, pur ammettendo di non conoscere i meccanismi che regolano il corpo umano, tanto meno sotto sforzo. Però dovrebbe essere pacifico: dopo un po’ il corpo si abitua al regime di allenamento, anche un fisico non più di primo pelo che già quando era di primo pelo aveva un approccio al mondo non più di primo pelo.
Invece devo constatare che nemmeno per sogno, ad oggi continuo a risentire degli allenamenti in maniera pesante. Tanto per intenderci. Quando faccio i dieci chilometri a 166 battiti (prima a 155) per tutta la sera le gambe fanno fatica ad effettuare qualsiasi tipo di movimento, con un contorno di schiena piegata in due a mo’ di vecchio che appoggia sul bastone il resto di una vita poco confortante. Quando faccio gli allunghi e l’allenamento sul passo torno a casa con una stanchezza che pervade tutto il mio essere, una stanchezza tale da non consentirmi una comunicazione accettabile come se mi aveste beccato a diciotto anni in un fine sabato sera, una stanchezza che mi sento di poter affermare trattarsi di un’esperienza premorte.
Quindi vado a tirare le somme di quanto detto. Fin dal mattino del giorno d’allenamento mi tiro maledizioni per la sfida accettata, mi assale una disperazione che a qualcuno potrebbe sembrare sproporzionata, ma solo perché non può sentire l’immenso vaffanculo che gli griderei in faccia. Poi mi alleno e passo la mia ora d’inferno trisettimanale. Infine torno a casa e sono un’approssimazione di essere umano, ancora più del solito.
A conti fatti, questa diavolo di corsa, tra turbe psicologiche e menomazioni fisiche e tempo effettivo impegnato, mi porta via tre giorni pieni a settimana. Onestamente mi pare davvero troppo, credo che dopo la Stramilano festeggerò la liberazione e decreterò la ricorrenza anno dopo anno, aumentando il tasso alcolico fino a non poterne più, tanto da desiderare piuttosto ritornare a correre, ma sarò troppo vecchio e non potrò farlo e quando me ne renderò conto un sorriso beffardo e giulivo si dipingerà sul mio volto grinzoso e sarebbe bello se proprio in quel momento mi cogliesse una dolcissima morte.
P.s. Non serve
La corsa non serve a sentirmi meglio fisicamente. A prescindere dalla stanchezza post allenamenti raccontata sopra, in generale non mi sento meglio nemmeno un filo. Anzi, credo di essere mediamente più stanco e affaticato, è come se il mio fisico rigettasse la cura.