Questo dedicarmi anima e corpo ad Agafan e al suo allenamento per la Milano City Marathon 2021 sta facendo nascere in me un dubbio di natura quasi esistenziale. Perché sto preoccupandomi di lui più di quanto faccia con me stesso?
Oramai è un mese e mezzo che questo progetto della Maratona ha preso il via. Dalla decisione di correre agli allenamenti veri e propri, il computo sale addirittura a un paio di mesi e, in questo periodo, ho scoperto potente in me il desiderio di far andare forte qualcun’altro. Nello specifico Agafan, uomo che fino a qualche tempo fa di forte aveva solo la penna e la vena polemica. Confesso che vedere i suoi miglioramenti, confrontarmi con lui quotidianamente, vederlo crescere, annaspare, incazzarsi è un impegno quasi totalizzante. Alle volte, mi ritrovo a studiare quali possano essere i suoi margini di miglioramento anche nei momenti più improbabili. Tipo al cesso.
Milano City Marathon 2021 – Una gara esistenziale
Non sono mai riuscito a dare un senso univoco a questa mia fissazione. A volte penso che questa totale dedizione alla forma fisica di Agafan nasconda un desiderio quasi imprenditoriale di vedere crescere e diventare grande una propria creatura. Altre volte ho messo in campo l’amicizia: sapere che grazie a te il tuo sodale sta abbandonando il suo desiderio di perdizione in favore di uno stile di vita sano è un bel modo di dimostrare affetto verso una persona. Altre volte ancora ho pensato che questa mio bisogno di vederlo correre forte fosse l’ennesimo scalino evolutivo dell’età che ho raggiunto: del resto, a quarant’anni il desiderio di paternità si fa pressante, e vedere Aga che migliora e affronta con coraggio le sfide della vita mi fa sentire completo come se avessi un frugoletto a cui togliere le rotelle dalla biciclettina. Altre volte, invece, quelle un po’ più malinconiche, associo il mio desiderio di vedere dei risultati in un altro all’inevitabile declino fisico che sto vivendo. Non potendo fare più sfracelli io stesso, mi godo i risultati di Aga. Un po’ come il vecchio detto che recita: se non sei buono a giocare, fai l’arbitro (questa, che può sembrare una frecciatina al mio sodale, in realtà è solo un meschino tentativo di farvi leggere il suo pezzo sulla vita delle camicette nere che potete trovare qui).
Oggi però, al termine dell’allenamento quotidiano ho avuto l’illuminazione. E se questo mio impegno su Agafan nascondesse un bisogno ancora più subdolo e utilitaristico?
Mi spiego meglio: per quanto non sembri, almeno dai resoconti pubblicati fino a oggi, il progetto Diario Di una Maratona include anche me, nel senso che anche io sto allenandomi per correre questa benedetta gara. Eppure non ho ancora avuto il bisogno di parlarne, non ho fatto cenno alcuno sui miei risultati.
E sì che sta andando bene, la voglia di correre è intatta, la tabella rispettata, non ho subito nessuno dei miei soliti infortuni creativi, sto perdendo peso in maniera sana e mi sento decisamente in palla. Niente di miracoloso intendiamoci, di etiope non ho nulla (se non la povertà), però nel mio piccolo procedo a vele spiegate verso il tour de force che ci siamo imposti.
Può darsi quindi che parlare, pensare, vivere e respirare gli allenamenti di Agafan, dunque, sia solo un modo per scaricare la tensione e non concentrarmi su quello che sto facendo io.
L’unica maniera che la mia psiche contorta ha prodotto per consentirmi di affrontare un programma di allenamento che ci porterà a un disagio certo (per non dire morte), senza scadere nei miei soliti pantagruelici tranelli mentali. Elucubrazioni che di solito prendono questa piega: “Se va bene, allora posso forzare. E se posso forzare allora posso pensare a un risultato cronometrico. E se posso pensare a un crono forse posso giocarmela con quelli della mia fascia d’età. E se posso giocarmela con loro allora perché no, posso dire la mia anche contro i ventenni. E se posso battere loro, dunque, posso anche avvicinarmi ai pro. E se posso arrivare ai pro, che cazzo, allora posso vincere. E se posso vincere, fanculo, mollo tutto penso solo alla gara e il prossimo obiettivo sarà Tokyo 2021”. Con il risultato che tempo una settimana di pensieri di gloria, il mio corpo segnato da infortuni di ogni tipo si ribellerà e mi ritroverò in sedia a rotelle a guardare Aga che corre.
Quindi, per farla breve, egoista o no, la realtà dei fatti è questa: io ho bisogno di dedicarmi ad Agafan, persino più di quanto Agafan possa immaginare. Il nostro è un legame sportivo vincolante: checché ne dica, senza di me lui è perso e senza di lui io non potrò mai arrivare in fondo.
Per cui, da oggi con ancora più vigore, mi occuperò di Agafan in maniera certosina, porterò quest’uomo a livelli che mai ha pensato di raggiungere. E per questo ho deciso che la sua tabella di allenamento verrà monitorata di giorno in giorno e modificata in maniera millimetrica a ogni variazione dei suoi parametri vitali. E se alla fine di questo percorso il suo corpo non dovesse mostrare più parametri vitali, non preoccupatevi, al traguardo di questa cazzo di gara ce lo porterò anche a costo di spingere la sua bara per 42 km.