The lobster è un film distopico, ambientato in un lontano futuro in cui l’essere single non è più concesso. Letteralmente. Le persone vengono arrestate se scoperte cuori solitari e non si può essere soli per più di quarantacinque giorni, pena: la tramutazione in animale
Per evitare la metamorfosi c’è un’unica possibilità: un albergo in cui cercare la propria anima gemella, l’altra metà della mela. Non importa se sei separato o vedovo, se tua moglie ti ha lasciato per un altro o se è finita per incompatibilità di carattere. Non importa se l’anima gemella che stai cercando non è la prima, ma la seconda, terza o l’ennesima: hai quarantacinque giorni di tempo per trovarla.
L’aragosta del titolo è l’animale scelto da Colin Farrell (il protagonista David) in caso di fallimento. “Tutti scelgono il cane, è per questo che ne è pieno il mondo”, osserva caustica la direttrice dell’albergo. L’aragosta invece è un animale originale, non smette mai di crescere, è sempre fertile e vive in gruppo. Forse, da aragosta, David ha più possibilità di trovare una compagna che non nell’albergo. E già, perché i paletti che gli si parano davanti non sono pochi. Non vorrei svelare troppo della trama quindi consiglio la lettura oltre a chi avesse già visto il film o a chi non dispiace scoprire qualcosa in più delle consuete recensioni tutto fumo negli occhi. Come avrete già notato non è il mio stile.
Dicevo, i paletti per trovare la propria compagna non sono pochi, in un mondo – quello dell’hotel/carcere – tutto regole e standard, conformismo e uniformità. Oltretutto la propria compagna deve avere qualcosa di simile a noi. Questo sia nel mondo qui (l’albergo) che nel mondo là fuori. (E uno spettatore attento si ricorderà verso fine film la frase sentita a inizio pellicola, quando David chiede attonito alla moglie se il nuovo compagno indossi gli occhiali o porti le lenti a contatto. Ma sono sottigliezze di cui può godere solo chi ha già visto il film.)
In questo futuro distopico l’essere in coppia è fondamentale per un buon funzionamento della società o anche solo per la propria felicità. “Du gust is megl che one” diceva un giovane Stefano Accorsi nella pubblicità del Maxibon e nel film è diventato “due è l’unica realtà possibile”. Almeno legalmente parlando. In questa società di orwelliana memoria (se non altro per l’utilizzo degli animali) esiste un mondo dei single: il mondo dei solitari. Sono perenni fuggitivi e ricercati: vivono nei boschi, ballano da soli musica elettronica e praticano unicamente autoerotismo. Qui innamorarsi non è possibile, o per lo meno non è consentito. Insomma anche nel mondo dei single le regole non mancano, anzi sembrano essere più ferree di quelle degli accoppiati.
E allora trasponendo il film nel mondo reale, nel qui ed ora, il regista sembra voler sottolineare questa dualità e contrapposizione (reale? Presunta?) tra il mondo “in coppia” e il mondo “da single”, due realtà opposte e che sembrano non poter comunicare né convivere, in una differenziazione condita da un pizzico d’odio. Chi è più felice quindi? E il regista greco Yorgos Lanthimos (vincitore a Cannes del Premio della Giuria) sembra domandarsi: la società di oggi ci chiede solo di uniformarci ad uno schema mentale e di comportamento sociale, seguendo cosa è più giusto o moralmente accettato dagli altri? E poi: cosa siamo disposti a fare per amore? E l’amore si basa su una comunione di interessi o di elementi, una similitudine che ci lega in qualche modo o, in fondo, nasce “solo” da un sentire, da un’emozione e un sentimento, nulla più? Perché, come nota il protagonista del film, “è più difficile fingere di provare sentimenti che non si hanno, che fingere di non provare sentimenti che si hanno”.
Valutazioni emotive:
Felicità 59%
Tristezza 81%
Profondità 93%
Appagamento 98%
Indice metatemporale 96%