L’intelligenza artificiale incombe sul nostro futuro ormai da tempo. Ex machina è un film di fantascienza, per ora, che ha un andamento anomalo, basato sui dialoghi di tre soli personaggi. Rigoroso come un esperimento, mentalmente incalzante, privo di fronzoli e ricco di spunti. Un film lontano dalla baracconata e vicino al cuore della questione.
Caleb Smith, giovane programmatore, vince un concorso interno all’azienda per cui lavora e il premio in palio è una settimana nella dimora super lussuosa e iper isolata di Nathan Bateman, il capoccia. Appena giunto sul luogo il megadirettore gran figl de putt, giovane e simpatico come un graffio sui coglioni, chiarisce subito al sottoposto quale sia lo scopo reale del soggiorno: testare un’intelligenza artificiale dall’aspetto femminile e dal nome Ava. Caleb ha una settimana per giudicare se la nuova creazione di Nathan è in grado di superare il test di Turing, cioè se sia in grado di pensare, di trarre in inganno gli esseri umani passando per una di loro.
Chiariamo fin dal principio che si tratta di un film lento, dialogato, che non trova particolari guizzi adrenalinici nemmeno sul finale thriller. Non ritengo sia un problema, anzi per quanto mi riguarda è un pregio dato che si tratta di una pellicola ben fatta, ma credo sia giusto chiarire come la fantascienza sia qui cerebrale e non d’azione. Che nessuno venga a lamentarsi di essersi rotto i coglioni guardandolo, vi sto avvertendo. Aggiungiamoci un elemento che vi renda il quadro più chiaro ancora: gli interpreti presenti sono numericamente ai minimi termini. Tanto spazio, pochissime persone e una macchina. Dunque non solo il film si basa sui dialoghi, pure tra quattro gatti e nemmeno tutti umani.
Il tema non è nuovo e lo sarà sempre meno, ma il film sa affrontarlo da una prospettiva interessante e sufficientemente originale. L’isolamento della casa laboratorio, gli interni costosi e asettici creano un’atmosfera rarefatta e da esperimento perverso, scaturito d’altronde da una mente tanto geniale quanto disturbata.
I dialoghi vengono portati avanti da Caleb con Nathan e con Ava e sono molto efficaci, ricchi di studio reciproco, di tensioni, di sorprese e di poche banalità, davvero gravidi di spunti interessanti e sempre rinnovati. Una costruzione, portata avanti tramite le parole, che tiene inchiodati anche grazie alla sapiente spruzzata di gesti e atteggiamenti che condiscono una ricetta equilibrata.
Non voglio dare anticipazioni che tolgano il gusto della scoperta, ma è molto interessante e alquanto attuale la modalità con cui l’intelligenza artificiale è stata progettata, perché coinvolge il nostro modo di vivere, di utilizzare la tecnologia e di muoverci nel mondo, un mondo che è ormai commistione di virtuale e reale. La nostra personalità, le nostre preferenze, i nostri interessi, il nostro stare al mondo ha sbocchi che stanno al passo coi tempi e la progettazione di una macchina che aspiri ad essere ritenuta umana potrebbe trovare le basi proprio nelle nuove espressioni dell’umanità.
Sono diversi i punti interessanti, ma non riuscirei ad esprimerli senza cadere nella rivelazione indesiderata, perché è vero che manca l’azione fisica ma quella mentale è presente ed è giusto che ognuno la viva a modo suo. Però voglio sottolineare l’interessante svolgimento della questione relativa a ciò che debba avere una macchina per avvicinarsi all’essere umano. Il film ne sa dare una lettura profonda, in grado di toccare diversi punti del tema, proponendo varie eventualità che sanno restituire la complessità di quella buffa macchina che è l’essere umano. Quando immaginiamo le caratteristiche che deve avere un’intelligenza artificiale per avvicinarsi all’essere umano quanto siamo onesti con noi stessi? Intendo con le qualità dell’umanità.
Stante l’antipatia immediata di Nathan, il problema che si pone non è chi sia moralmente meglio tra la macchina e il suo creatore, chi sia la macchina e chi l’essere umano, in gioco ci sono piuttosto le carte che l’essere umano può mettere sul tavolo, il bluff che propina a se stesso, l’asso nella manica assente, l’autoritratto indulgente e manierato.
Ex machina è un film rigoroso, privo di fronzoli, di effetti drammatici forzati, di effetti speciali abbaglianti, di facili appigli. Ci richiede silenzio, lo stesso che abbraccia la proprietà e le riflessioni del protagonista, attenzione e concentrazione, come quelli necessari all’esperimento. Entra sottopelle e ci resta per lavorare costantemente sottotono. Forse sottovoce, alla Marzullo, ma irritando decisamente meno.
Valutazioni emotive:
Felicità 35%
Tristezza 61%
Profondità 82%
Appagamento 85%
Indice metatemporale 77%