i rudi - fuori tempo massimo

I Rudi, Fuori tempo massimo – La nostra recensione

Ci sono ascolti che travolgono e ascolti che ti accompagnano. I primi hanno una presa immediata sotto pelle, ma poi magari alla lunga scopri alcune ingenuità che ti solleticano solo in alcuni momenti mentre in altri ti lasciamo freddo.

Poi ci sono gli ascolti che pur piacendoti al primo colpo, ti lavorano dentro, ma non in senso tragico, quelli sono un’altra categoria di dischi ancora, sono quelli che ti accompagnano.

Insomma ci sono quei dischi, ma anche gruppi o a volte alcuni suoni che ti coccolano e ti stanno di fianco come una lunga amicizia, che ti fa sentire sempre nel posto giusto del mondo. 

Ecco per me I Rudi sono questo, una band tutto sommato semplice da capire ed afferrare ma che grazie al grande lavoro sui suoni e sullo stile, ti entrano dentro come un bisogno fisiologico che di tanto tanto devi espletare.

Band formata da due fratelli che davanti ai riflettori non litigano, ma con l’altra famosissima band di Manchester composta da due parenti, Silvio e Gabriele Bernardi insieme a Stefano Di Niglio , hanno un’altra similitudine: anche loro si muovono tra le atmosfere degli anni ‘60 e un attitudine mods, con basso, tastiere e batteria.

Formazione originale che non prevedendo chitarre, lascia ampio spazio al pianismo elettrico di Gabriele Bernardi e alle belle linee ritmiche di Silvio al basso, sempre incastrate sul potete batterismo di Stefano Di Niglio.

Molti li avvicinano ai Byrds, molti agli Who come impatto,  di sicuro c’è nel sound de I Rudi molta Inghilterra a cavallo dei sessanta-settanta.

Jack Union dominante anche nelle bretelle, fino alla scelta di uscire Fred Perry come simbolo di eleganza e fusto retro, volutamente un po’ fighetto.

E qui potremmo chiudere la fotografia dei Rudi, una band che non ha tempo di essere alla moda. Devono vivere il proprio bell’immaginario, stanno ancora sognando e non hanno voglia di essere svegliati dalla pochezza della contemporaneità.

Per me ascoltare il loro disco è stato una piacevole sensazione di calore, come quando torno al mio pub preferito e ordino sempre la stessa birra rossa. Birra che in realtà cambia ogni volta, ma non sono le venature a cambiare il gusto. Il luogo, la luce, il colore, gli incontri sono quello che contano nel trovare il senso di famiglia.  Così accade con Fuori tempo massimo, un disco che ti accomoda immediatamente su una bella Mini e ti fa partire per una serata di bevute e chiacchiere fino alla fine della notte.

Se a voi farà l’effetto che ha fatto a me, vedrete che botta.

Il disco si apre con C-60 pezzo fortissimo e che dichiara subito l’autarchia del sogno rudiano, Calmi gioca con una tastiera leggera in piena stile british accompagnata da un testo giocoso che ribadisce i concetti di indipendenza e libertà. Qualcosa al volo è il pezzo più azzeccato del disco, una bella melodia e una serie di arpeggi, portano in un mondo di dolcezze e malinconie post-adolescenziali che trafiggono al petto. Il vero me, tira forte e gioca con alti e bassi, scivola come un’anguilla. Tra gli altri pezzi notevoli segnalo Non riderai e Disperata, soprattutto l’ultima con un ammiccamento al blues americano molto riuscita.

Fuori tempo massimo chiude il disco forse con meno convinzione rispetto all’attacco, ma lascia la voglia di ripartire col play.

Unico neo in un disco molto bello, forse la produzione, volutamente e piacevolmente leggera ma che in alcuni momenti avrebbe potuto meritare qualche saturazione in più, qualche rigonfiamento in più che avrebbe reso alcuni brani più rotondi.

Voto complessivo - 80%

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Su Piggy the pig

Nasce negli anni 80 con ancora l'eco delle chiamate londinesi. Quando ci arriva a Londra è scoppiato il Brit-pop, intanto le urla del grunge scendono sotto pelle. Ama il vino rosse e le birre rosse, ascolta musica per non piangere ma a volte gli fa l'effetto contrario.

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