Django Django – Marble Skies un disco… alcolico!

E’ sempre un piacere ascoltare i Django Django, perché hai la sensazione che questi pazzi facciano i dischi solo quando gli va di farli e che nella maggior parte dei casi scrivano dopo aver passato una decina di notti alcoliche di fila. Noi non solo apprezziamo ma anzi siamo lieti che i ragazzi abbiano il fisico giusto per reggere un simile scontro con i peccati del mondo. I Django Django sono la coda di una cometa che è passata nel cielo internazionale, a dire il vero non in modo così evidente come avrebbe dovuto, intorno ai primi anni di inizio secolo e che ha brillato fino agli anni ’10 ma che poi è scemata. Di questa filone facevano parte gruppi che contaminavano rock ed elettronica senza cadere nei patetici esperimenti discotecari alla U2 e senza diventare imparanoiati a titolo gratuito in stile Radiohead, facendo prevalere la sensazione tipica della band che suona dal vivo in piccoli locali. Quindi Beta Band (mammamia cosa hanno fatto questi ragazzi!), Doves, Mercury Rev e volendo potremmo includere anche i Laika anche se a dir il vero, loro sono arrivati qualche anno prima. Tutti figli della sciattaggine dei Primal Scream ovviamente, ma con una metrica e ritmo più rigidi e meccanici. copertina disco 2018
Per arrivare al dunque, con questo nuovo lavoro i Django Django non sono certo rimasti a guardare il passato e hanno sparato fuori un album che ti fa ballare la testa che è un piacere anche senza aver preso un negroni.
Forse l’album un po’ di nostalgia in sé ce l’ha, ma credo sia più una questione geografica-anagrafica: chi ha vissuto gli inizi del 2000 in Gran Bretagna e non è mai andata a un talent le melodie le scrive così.
Detto ciò l’album funziona e suona davvero bene per tante ragioni.
Gli arrangiamenti al solito sono il forte della band che spazia tra beat rock ed elettro, ogni tanto arrivando ad una leggerissima jungle con ambienti davvero preziosi. I sinth arrivano dove devono arrivare, e cioè dritti in testa a scatenare endorfina.
Le melodie vocali, invece, sorprendono, sono fresche e ben intonate, hanno echi brit-pop ma si sentono anche i Devo e in alcuni casi persino la lezione di papà Brian Wilson.
Tra le canzoni da segnalare sicuramente Champagne che fa sorridere per il suo essere sfacciatamente ammiccante e decadente come una festa finita troppo tardi e con troppe bottiglie.
La title track, Marble Skies, trascina per bellezza di linea melodica e intensità e poi c’è su tutti la splendida Surfer to Air in cui lo spirito libero e scanzonato della band gioca con un certo internazionalismo musicale che diverte e fa smuovere le natiche.
Un album, insomma, che rimanda ad una scena ma che non fa perdere il treno della contemporaneità: ancora una volta i Django Django ci hanno convinto e per questo li inseriremo nella playlist: “FESTA/DELIRIO”.

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Su Piggy the pig

Nasce negli anni 80 con ancora l'eco delle chiamate londinesi. Quando ci arriva a Londra è scoppiato il Brit-pop, intanto le urla del grunge scendono sotto pelle. Ama il vino rosse e le birre rosse, ascolta musica per non piangere ma a volte gli fa l'effetto contrario.

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