L’albero - Shel Silverstein

L’albero – Shel Silverstein

L’albero di Shel Silverstein è un libro che apre a domande, non tanto un processo che chiede di stabilire chi è il colpevole. Ha la bellezza di aver condensato la complessità di un rapporto in una sequenza pulita di gesti che racchiudono l’unicità, certo discutibile, dell’amarsi fuori misura.

L’albero di Shel Silverstein

l'albero

Lo ammetto, non conoscevo l’albero di Shel Silverstein, libro a figure pubblicato per la prima volta nel 1964, con il titolo The giving tree, ma arrivato in Italia solo nell’aprile del 2000 grazie a Salani Editore. Nei trentasei anni trascorsi tra un’edizione e l’altra, il libro è stato tradotto in venticinque paesi e ha venduto oltre cinque milioni di copie.

Nemmeno una di queste però mi è mai capitata tra le mani, se non quella incontrata casualmente a una bancarella poche settimane fa. O meglio, voglio essere del tutto onesta, una ragazza lo stava sfogliando e raccontando sommariamente al ragazzo che le era accanto, così l’ho notato e le parole orecchiate e il verde brillante che troneggia in copertina me lo hanno fatto desiderare tanto da sperare che lo posasse di nuovo lì, dove l’aveva preso.

«C’era una volta un albero…» questo è l’inizio di una storia d’amore, lunga una vita, tra un albero e un bambino raccontata attraverso l’avvicendarsi di immagini minime realizzate a china su pagina bianca. I riflettori sono accesi su di loro e dalla regia è il tempo a scandire il succedersi delle scene e i passaggi di stato tra un prima, un’ora e un poi.

L’appuntamento originariamente è quotidiano e il bambino gioca con l’albero, si arrampica, si dondola, mangia le sue mele e si addormenta alla sua ombra: tra i due c’è un bene reciproco che rende entrambi felici e la contentezza è tale da dover essere incisa sulla corteccia e incorniciata in un cuore «M.E. + T».

Un’addizione di parti che sembra completarsi.

l'albero

«Ma il tempo passò.»

Il bambino si fa adulto e gli svaghi si trasformano in richieste crescenti all’albero: prima il ragazzo prende le sue mele, poi i suoi rami, poi il suo tronco… ha bisogno ora di soldi, ora di una casa, ora di una barca. Diventa incapace di giocare, sempre di fretta, vecchio e triste, ma l’albero ogni volta che lo rivede è felice nonostante sia sempre più spoglio di cose materiali da offrire o parti di sé da donare.

Il tempo continua a fare il suo corso e il vecchio ragazzo va a trovare il vecchio ceppo che in realtà si rivela capace di offrire ancora qualcosa.

Le letture di questo amore possono essere tante: quella del ragazzo predatore e colpevole d’ingratitudine, della ciclicità della vita che ci allontana dallo stato di natura per eclissarci nella frenesia del bisogno smisurato che si rivela comunque non sufficiente, quella più simbolica dell’albero-genitore disposto a dedicarsi totalmente ai propri figli e tante altre, ma bisogna comunque riconoscere a questo libro la bellezza di aver condensato la complessità di un rapporto in una sequenza pulita di gesti che racchiudono l’unicità, certo discutibile, dell’amarsi fuori misura.

È un libro che apre a domande, non tanto un processo che chiede di stabilire chi è il colpevole di tutta questa quieta tristezza. Questo bisogna tenerlo a mente.

Spunti didattici:

l’albero è una di quelle storie capaci di “mettere in difficoltà” perché chiama in prima linea la sensibilità del lettore e la interroga. Vista questa sua caratteristica è sicuramente un racconto che si può proporre sin dalla scuola dell’infanzia per accompagnare i bambini in un percorso di crescente consapevolezza del sé e dell’altro.

Alla scuola primaria può essere usato come spunto di confronto in merito a tematiche legate all’ecologia, alla sostenibilità, all’importanza della biodiversità etc.

Lo consigliamo a… chi è amato oltremodo, a chi è abituato a non restituire le “cose” e all’albero a cui non torceremmo nemmeno un ramo.

Shel Silverstein – L’albero Salani
Traduzione: Daniela Gamba

Voto - 95%

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Su Linda Geninazza

Non vi dirò, almeno subito, cosa faccio, ma da dove arrivo; credo le radici contino più della chioma che a volte, almeno la mia, è dritta, a volte mista, a volte curva, mentre laggiù, agli inizi, poco cambia, tutto si irrobustisce. Cusino, non cercatelo su Google Maps perché non vedrete altro che un rosso segnaposto abbandonato nel più fitto verde, lì sono cresciuta e lì ci tornerò. Ora abito il grigio-perla di Milano, altra spina nel cuore, qui vivo e ci resterò. Dimezzata tra due terre non di mezzo, questa sono io.

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