Afterhours – Tour teatrale 2015 – Conservatorio di Milano

Conservatorio di Milano – Per la quinta data del loro tour teatrale gli Afterhours scelgono uno dei luoghi più sacri della musica milanese, una location ideale per iniziare quello che si può definire un discorso serio col loro pubblico

Già perché oltre a offrire due ore e mezzo di show di fattura parecchio elevata, Agnelli & soci hanno prima di tutto parlato ai fan, si sono mischiati a loro quasi a volerli da una parte rassicurare e, dall’altra, fargli toccare con mano la bontà del momento attuale del gruppo. La tempesta abbattutasi sulla band pochi mesi fa (e i cui strascichi sono ben lontani dall’essere sopiti), infatti, è stata un colpo forte per gli appassionati della prima ora, quindi, prima di continuare questa recensione – oltretutto scritta mentre cerco disperatamente di recuperare dall’inedita sobrietà con cui ho affrontato le quasi tre ore di concerto (in conservatorio mica si può bere) – mi sento in dovere di tranquillizzare i duri e puri non presenti: i superstiti e i nuovi innesti, questa sera, hanno ribadito che il progetto Afterhours è vivo, sul pezzo, e solido a tal punto da andare al di là dei singoli artisti. E questo tour lo dimostra ampiamente. #IoSoChiSono Tour è prima di tutto rock pregevole, mischiato in maniera sapiente alla recitazione, alla lettura, alla sperimentazione. È quindi anche qualcosa di diverso a ciò a cui eravamo abituati. 

Innanzitutto, il pubblico è protagonista tanto quanto gli artisti sul palco. L’ospite inatteso, è il silenzio irreale di chi ascolta. 

Agnelli comincia il suo “sermone” cantando a cappella la canzone che dà il nome al tour e lo fa mentre attraversa le file di poltrone della sala, la sua voce è quella dei tempi belli. La scaletta affonda a piene mani dall’ultimo album, Padania, e da Ballate per piccole iene che giusto quest’anno festeggia il decennio, senza ovviamente dimenticare alcuni brani storici (no, “Male di miele” non c’è), il tutto intervallato da letture di Gramsci (Gli indifferenti tratto da La città Futura), Ginsberg (Moloch, da L’urlo), Pasolini (Traccia, da Petrolio) Pessoa (Il bellissimo brano del cuoco, tratto da Il Libro dell’Inquietudine) in cui Agnelli, mannaggia sempre lui, sfodera una capacità interpretativa valida, potente. Tema portante di tutto è il cambiamento, ma soprattutto quell’identità che ogni uomo, arrivato a un certo punto della sua vita ha bisogno di trovare, o modificare, o destrutturare, o rivoluzionare. 

Identità che cambia anche in alcuni brani che, grazie anche ai nuovi innesti, letteralmente mutano pelle, come Varanasi Baby, altri invece, diventano karaoke, come Non è per sempre, che la band suona tra il pubblico, senza amplificazione. Un momento intenso, dove il pubblico degli Afterhours solitamente abituato a urlare a braccia alzate, canta timido, in un silenzio irreale (almeno per un concerto rock). Se non ci credete guardatevi il video qui sotto. Capitolo a parte se lo meritano le cover, tutte dannatamente riuscite: Agnelli in acustico prima ci strazia il cuore con Place to Be di Nick Drake (il suo cantautore preferito, almeno così ha detto) e poi ci finisce con una magistrale interpretazione di Lilac Wine brano di James Shelton e reso immortale, tra gli altri, da Nina Simone. Ultima chicca ce la regala Dell’Era che interpreta alla grande Caroline Says di Lou Reed, pezzo che poi sfocia nella storica Inside Marylin. Brano finale, uno dei più belli di tutto il loro repertorio, Oceano di Gomma, bum.

Due parole sulla band. Agnelli è in formissima, talmente in forma che alla fine lo guardi e pensi: “Eh sì cazzo, anche stavolta hai avuto ragione te.Iriondo è sempre lui, chitarra potente e quel fare da piccolo chimico che mi manda ai matti. Il basso di Dell’Era è come il suo proprietario, sinuoso, e per finire, il violino di D’Erasmo oramai è parte integrante degli Afterhours oltre che l’estensione perfetta della voce di Agnelli. Chi manca? Ah già, i nuovi. Beh, la batteria di Rondanini (Calibro 35) è potente e varia, mentre la poliedricità di Pilia (Massimo Volume), che praticamente suona “la qualunque” (cit.), è un innesto che possiamo già definire prezioso. Fin qui, la fredda cronaca. Ora le note di colore:

– Piero Pelù si accomoda sugli spalti pochi secondi prima dell’inizio, vestito di un enorme cappottone e accompagnato da quella che sembrava essere la sua, anzi, la su’ mamma.

– Iriondo coi capelli corti è ancora più folletto del solito.

– Un 10 a Rondanini che al termine di Non è Per sempre passa tra il pubblico con la sua percussione poggiata sulla panza e si mette a urlare: “Gelatiii”

– Gli occhi della donna di D’Erasmo sono di una bellezza quasi dolorosa.

– Quella che avevo scambiato per la mamma di Pelù in realtà è la più feroce maschera del Conservatorio di Milano. Ha passato tutto il concerto a rimbrottare chi tirava fuori il telefono per fare foto. Motivo per cui questo pezzo è corredato da una foto demmerda.

– A giudicare dalle donne attempate e ingrifate sedute vicino a me (una ha fotografato solo lui per due ore e mezzo), il cappellone di Dell’Era sembra essere l’ultimo feticcio per milf.

– Xabier, sappilo, ho comprato il tuo vinile.

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Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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