Il bello di avere quarant'anni

La bellezza di avere quarant’anni

La prima volta che ho pensato seriamente alla morte era il 1989. Avevo nove anni e ricordo perfettamente il momento. Era il 18 giugno, ero in casa e stavamo festeggiando il 35esimo compleanno di mio padre. Ricordo che feci un paio di conti e mi resi conto che i 35 anni erano per me un traguardo lontanissimo e che quando ci sarei arrivato sarei stato vecchissimo e forse già pronto per morire. 

Ora di anni ne ho quasi quaranta, li compirò tra pochi giorni, oltretutto in quarantena, e la mia percezione della morte si è spostata un pochino più in là. Quello che è rimasto è che l’avvicinarsi dei quaranta rappresenta un inevitabile giro di boa.  

A nove anni, guardavo mio padre e immaginavo che alla sua età (oltre che probabilmente già morto) sarei stato un uomo fatto e finito, con una casa di proprietà, un lavoro stabile, una moglie, dei figli, una station wagon per la famiglia, un’utilitaria per la consorte e una cazzo di spider per i fine settimana. Insomma, ero convinto che avrei risolto gran parte delle tappe della vita di un maschio medio con ottimistico, quanto fanciullesco, successo.

Ebbene, ora che la boa si fa vicina, tanto vicina, è bello vedere come le prospettive cambiano e all’età in cui mio padre aveva più o meno raggiunto tutto io mi rendo conto che tutto quello che ho fatto si può riassumere in quattro parole: una fava di niente.

Le prospettive cambiano, dicevamo, per cui della casa di proprietà a noi quarantenni non ce frega nulla: oggi qui domani là, il lavoro ormai è liquido e non ha senso mettere radici. A proposito di lavoro, anche qui la stabilità è un ricordo del passato, ora l’impiego giusto non è più quello fisso, ma è quello che ti fa venire il pepe al culo ogni mese, quel tipo di impiego che si fonda sul brivido del sapere se verrai pagato o meno, su quel freddo terrore ogni qual volta compare il nome della tua commercialista sullo smartphone. Stesso discorso sulla moglie e i figli, la prima ora è più alla moda definirla compagna, mentre per i secondi non è giusto avere fretta, che tanto, per i figli c’è sempre tempo. Non parliamo della macchina, poi, con tutti car sharing che ci sono a Milano, l’idea di avere una quattroruote propria è insulsa, figuriamoci tre.

Le uniche mie vere proprietà, attualmente, sono solo due gatti di cui una addestrata perfettamente per il riporto degli oggetti, a conti fatti forse uno dei successi più fulgidi della mia carriera di uomo. 

Insomma, io, ma più generalmente il quarantenne medio, arriva alla fatidica boa con in mano poco più di quello che aveva a diciottanni: tanti sogni, se si è predisposti, l’illusione di una prospettiva e poco altro, se si è più pragmatici. 

Ora vi chiederete, ok, il quadro desolante è chiaro, ma questa rubrica non si chiamava Fiori di Kant? Non dovrebbe esserci quindi un insegnamento, un’ispirazione per guardare al futuro con più ottimismo e slancio?

E in effetti l’insegnamento c’è. E non si tratta del fatto che a livello sociale i traguardi si sono spostati più in là, per cui i quarantenni di oggi sono i trentenni di ieri e stupidate varie. E non c’entra nemmeno il fatto che le prospettive sono diverse e i quarantenni di oggi, sacrificando molti degli obiettivi dei loro padri, hanno in mano molte più possibilità dei pari età di qualche decennio fa. No, la vera grande bellezza è che con l’innovazione medica e il miglioramento della qualità della vita, un uomo di quaran’tanni può sperare di vivere altrettanti anni, se non di più (coronavirus permettendo), ad aspettare di raggiungere un qualche traguardo. 

Io, ad esempio, punterò ad insegnare alla mia gatta ad aprirmi le birre.

Su massimo miliani

Ho il CV più schizofrenico di Jack Torrence, per questo motivo enunciare qui la mia bio potrebbe risultare complicato. Semplificando, per lo Stato e per l'Inpgi, attualmente risulto essere giornalista.

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