Una musica può fare: la musica fa, la musica dà. Una volta tanto non consiglio visioni di concerti, ascolti di cd o letture di libri. Quello di cui vorrei parlare quest’oggi è ovviamente musica, ma di aspetti della musica indirettamente correlati alla nostra vita quotidiana: come influisce sugli altri quest’arte e che tipo di atteggiamenti mette in azione.
Io faccio il musicista da parecchi anni, alcuni più felici altri meno, ma anni sicuramente musicali. Come a tutti mi capita di conoscere persone nuove, come tutti ho bisogno di cure mediche e mi può capitare di deporre alla sbarra di un tribunale.
La cosa sempre divertente da notare è la faccia delle persone quando, dopo avermi chiesto quello che faccio nella vita (ormai unico modo per credere di conoscere qualcuno o forse ancor più per incasellarlo nei nostri preconcetti), rispondendo “faccio il pianista, insegnante di pianoforte”, hanno un sussulto di sbigottimento. In genere seguono altre domande che approfondiscono meglio come mi guadagno da vivere, alcuni rimangono letteralmente imbambolati e inebriati; altri, forse i più audaci, mi chiedono se “la sai quella che fa…” e con stonature davvero particolari intonano motivi letteralmente smembrati nel ritmo e nella melodia; altri ancora si aprono a confidenze legate al passato “anch’io suonavo da piccolo, poi mi facevano fare solfeggio e ho smesso”. A tutte queste reazioni adotto dei cliché ben precisi, in genere improntati su quello che si dovrebbe dire e non su quello che si vorrebbe dire. Sto ancora lavorando sulla risposta ai motivi stonati, molto spesso prolungati e causa di un imbarazzo incredibile.
Mi capita di incontrare un dottore, un neurologo, l’ennesimo di un periodo in cui soffro mal di schiena. È un pomeriggio d’autunno e mi trovo al Besta di Milano. Quando è il mio turno entro nello studio e quello che mi trovo di fronte è un bestione alto 1.90 e davvero, davvero largo. Il dottore, nella mia mente subito soprannominato “il ciccione”, mi visita in un modo molto particolare: mi fa camminare sulle punte, sui talloni, mi fa sdraiare sul lettino, mi maneggia. Mi sembra molto attento, gli racconto l’operazione appena subita e non riuscita; lui è molto contento del risultato fallimentare dell’operazione, è veramente arrabbiato coi suoi colleghi che operano in maniera del tutto inutile, unici in Europa ad effettuare questo tipo di operazione, dice.
Solo in ultima battuta mi chiede di mostrare gli esami fatti. Gli presento la risonanza magnetica, mi guarda incredulo: lui ha bisogno una Tac; non me l’hanno mai chiesta e non l’ho mai fatta. Mi scrive l’impegnativa per una Tac e arriviamo finalmente al momento della compilazione della cartella clinica. Dopo nome, cognome e indirizzo mi domanda la professione, gli rispondo: “pianista”; lui, tirando su gli occhi, mi dice: “ma che cazzo di lavoro è?”; io non faccio in tempo a rispondere che chiarisce al domanda: “pianista jazz, classico, pop?”. Rispondo classico, a questo punto si apre una discussione che scende nel tecnico. È tornato da poco da una tournèe del pianista Kissin che adora, vuole sapere i miei gusti, a questo punto gli consiglio un po’ di brani con relativi interpreti, si illumina, si va avanti una mezz’oretta così, il tempo pare fermarsi.
Ad un certo punto, si fanno le 18.30, alza il telefono e chiama in radiologia, queste le parole: “Ciao …. So che avete già chiuso ma qui c’è un mio grandissimo amico, un mio amico pianista, un pianista formidabile che avrebbe bisogno una Tac; pensavo che ci mettiamo tanto con l’impegnativa, la prenotazione … beh dai, te lo sto mandando giù, grazie infinite, a presto”. Io rimango allucinato, avevo intenzione di fare la Tac a pagamento, 500 euro ma almeno in pochi giorni posso avere l’esito, nulla. Scendo e una dottoressa molto gentile mi prepara all’esame tranquillizzandomi sul fatto che la macchina della Tac sia aperta.
È una sera piovosa e mi trovo alla guida dell’automobile, la macchina che mi precede inchioda, io pure. Dalla macchina che precede quella davanti a me scende un tizio, afferra la signora dell’altra auto, che nel frattempo era scesa, e le sferra un pugno nello stomaco. Io faccio per scendere e il tizio risale in macchina ripartendo a tutto gas. Prendo il numero di targa, mi sincero che la signora stia bene, confronto la targa con quella appuntata da altre persone: è quella giusta, aspettiamo i Carabinieri. Dopo un’oretta ci incamminiamo a casa avendo lasciato generalità e numero di telefono. Passa circa un anno e mezzo e mi chiama la signora, ci metto un po’ a riconoscerla, mi dice che la settimana dopo c’è il processo e mi chiede se sono ancora dell’avviso di testimoniare: rispondo assolutamente di sì.
Il giorno del processo sono un po’ teso, non avevo mai testimoniato in tribunale, e arrivo quasi un’ora prima. Assisto ad altri dibattimenti, cerco di capire cosa devo fare, rivedo la signora e lei mi tranquillizza, è la decima che si presenta per lo stesso processo, il tipo invece non è mai venuto.
Bene, si inizia. Mi accorgo che il giudice e gli altri soggetti sono microfonati, questo non fa altro che acuire il mio imbarazzo. Arriva il mio turno, solito schema: generalità, nome, ok, cognome, ok, nato a, ok, residente a, ok, professione… ecco, qui l’aula del tribunale di Saronno si trasforma in un forum di musica classica. Stessa domanda del “ciccione”: “pianista come? Jazz, Blues, Classico?” A questo punto, con tanto di microfono, alla Verdone penso “o devono sapè tutti”. Gli rispondo la verità: “Classico”. Lui ribatte quasi seccato: “Facile dire pianista classico, ma se le chiedessi la tonalità, per esempio, della terza ballata di Chopin?”. Tenete sempre presente i microfoni, io vi prego. In un istante la mia memoria va all’esame di Storia della Musica, dato anni e anni prima, mi sento in un’aula di Conservatorio. Ribatto in fretta, per far vedere che non ci ho nemmeno pensato: “Lei, Signor Giudice, si riferisce a quella in La b Maggiore, ma vogliamo parlare anche della prima in sol minore, della seconda in Fa Maggiore o della quarta in fa minore? Una più bella dell’altra, non crede?”. Lui a quel punto si sente a casa, mi racconta gli ultimi concerti visti e io lo invito al concerto del mio Maestro che avrebbe suonato la settimana successiva le tre Sonate di Chopin. Sbrighiamo la faccenda per cui mi trovo lì, ci salutiamo come due vecchi amici e me ne vado a suonare il mio pianoforte più allucinato di prima. Anche in tribunale, la musica ha donato, per dirla come qualcuno, una goccia di splendore.
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