Un profondo estraniamento è la prima sensazione che si prova saliti a bordo. La cuccetta è piccola, il vagone scarno e silenzioso, nessuna traccia del lusso che ci avevano paventato. Solo un orologio che campeggia in alto e che si sarebbe poi rivelato l’oggetto più prezioso: unico aggancio ad una realtà che sarà presto inghiottita dai chilometri, dissolta tra la taiga, la steppa, i laghi e i fusi orari.La lentezza del treno è irreale per chi è abituato a un A/R Milano-Roma in giornata: mai oltre i 100 chilometri orari che ti consentono di tenere ben salda la tazza di tea che il provodnik, il responsabile della vita nel vagone, ci terrà a consegnarti appena salito a bordo.
Tanya e Ivan sono stati i nostri compagni di cuccetta siberiani per 2 giorni e 2 notti: freddi e scostanti all’inizio, si apriranno poi in una gentilezza rara, tratto comune ai russi, scopriremo in seguito. Con loro abbiamo condiviso cibo, bevande, ma soprattutto storie. Ivan è un ex ufficiale dell’esercito, Tanya una fisarmonicista. Si sono incontrati e innamorati in Siria, in quel Paese che non è il teatro degli orrori di oggi e che ci raccontano come una terra meravigliosa, con un popolo colto e raffinato. Tanya e Ivan sono stati a Mosca a trovare il figlio che da 6 mesi si è trasferito per un lavoro in banca. Riunire la famiglia per soli 3 giorni è costato loro 42 ore di viaggio su rotaia.
Non ci sono alternative.
Li salutiamo alla fermata di Omsk, loro città natale e luogo di deportazione per Dostoevskij, non sanno quando potranno abbracciare nuovamente il figlio. La Transiberiana è una tratta cara, ci spiegano, non puoi permettertela spesso.
La notte trascorre tra shots di vodka e racconti di vita nel vagone ristorante, l’agorà del treno, luogo di incontro per chi ha perso il sonno o vuole prendersi una pausa dalla lettura. Sì, perché sulla Transiberiana leggono davvero tutti: per tanti è l’occasione per distaccarsi dal mondo, tanti i viaggiatori solitari, e per cimentarsi nella lettura di quei tomi posticipati dai tempi del liceo. Guerra e Pace è il libro che spunta più spesso tra i sedili. Il titolo che mi ha fatto compagnia in questi primi chilometri è invece Imperium dell’immenso Ryzard Kapusciski, cantore di mondi ed aspirazione per ogni viaggiatore. In questo reportage ci racconta l’Unione Sovietica, la sua eclissi e il viaggio che il reporter fece proprio a bordo della Transiberiana, da Pechino a Mosca. Scelta filologica ed emozionante per prendere coscienza di quello che si sta vivendo.
Fuori dal finestrino, intanto, gli edifici in cemento hanno ceduto il posto alle sconfinate distese di alberi. E ad un nuovo orario. Siamo arrivati nel profondo Est della Russia. Siamo arrivati in Siberia.
Krasnojarsk, la centrale della volontà.
Dietro di noi, la valle del Volga e della Kama, il mondo reale: dinanzi a noi, i picchi coperti di neve, le roccie scarne, le foreste secolari, i valloni profondi, le vette vergini, i precipizi irti, i torrenti sonori e…la Siberia: l’indefinito e l’infinito.
Scriveva Ferdinando Petruccelli della Gattina nel descrivere questa terra dove non troverete l’incanto accecante del Salar de Uyuni, con i suoi riflessi e i giochi di prospettiva, o il fascino del Sahara, con le dune sconfinate e gli accampamenti berberi.Una regione che copre il 75% della superficie russa e una temperatura che raggiunge i -60° nei mesi invernali. La Siberia è la terra dei Gulag, la fu landa di confino per gli antizaristi, i personaggi scomodi e gli scrittori dissidenti. Superiamo l’efficiente centrale idroelettrica che conferisce fama alla città e ci spostiamo di 10 chilometri per incontrare Anatolyi, atletico professore universitario parlante inglese, che ci guiderà in un trekking di 4 ore all’interno della Stolby Nature Reserve, vera attrazione di Krasnojarsk e sconfinato oceano di alberi alti e fitti, glorioso rifugio bolscevico.
Per difendersi dagi attacchi degli insetti più aggressivi, i siberiani immergono la mano in un formicaio di formiche rosse speciali che rilasciano, pungendoti, una sostanza acida che agisce da repellente verso gli altri insetti. Il risultato è un odore nauseabondo che ti pervade il corpo, ma almeno puoi procedere senza pensieri nella tua scampagnata nella taiga, ci rassicura Anatolyi.
Ci inoltriamo nella foresta fresca e profumata seguendo il nostro amico siberiano che, scattante come uno scoiattolo, ci guida in 18 chilometri su e giù per le conformazioni rocciose che caratterizzano la riserva fino ad arrivare a Takmak Rock, un culto per gli arrampicatori locali, un pilastro di roccia dal quale si può godere di un panorama mozzafiato.
Ci sono volute 54 ore di treno e 2 fusi orari, ma ne è valsa la pena.
Con una sola notte davanti prima di risalire a bordo, decidiamo di tornare a valle in funivia ed è questa decisione a regalarci il ricordo indimenticabile di questa prima tappa. “Quel ragazzo vestito da militare”, ci dice Anatolyi, “ha 32 anni, era un arrampicatore. Quando ne aveva 25 un ictus lo ha colpito mentre dormiva, portandogli via la mobilità, la parola e i sogni.”
“Ma cosa aspetta seduto sulla panchina?” chiedo ad Anatolyi sollecitandogli il prosieguo della storia.
“Ivan, questo il suo nome, dopo l’incidente ogni giorno si alza e viene qui a Stolby per percorrere, da solo, i 20 chilometri necessari per completare l’intero trekking della riserva. Ogni giorno. Da solo. È ormai diventato una star locale, ma la sua fama non è sufficiente per ammorbidire la severità delle regole siberiane: se sei un disabile, non puoi prendere la funivia da solo. PPer questo si siede su quella panchina e aspetta paziente che qualcuno lo accompagni nella discesa”.
Prendiamo insieme la funivia e negli occhi di Ivan vedo il riflesso di tutta la forza di volontà siberiana, quella morsa d’acciaio capace di andare oltre le avversità della vita.
Fra poche ore si riparte.
Da Krasnojarsk a Irkutsk.Prendiamo qualche provvista dalla babuska della stazione e saliamo a bordo, fra 24 ore arriveremo sulle sponde del lago più profondo e mistico del mondo: il lago Bajkal, con le sue acque dolci ed esoteriche.
I diari della Kolyma. Viaggio ai confini spettrali della Russia di Jacek Hugo-Bader è la lettura che accompagna questa tratta. Incredibili e suggestivi i racconti dei sopravvissuti ai Gulag che Bader ascolta e riporta in questo viaggio in una delle ultime badland rimaste al mondo.
I tossicodipendenti, gli sportivi, i condannati, gli eroi decaduti, i minatori che scavano nelle fossi comuni cercando oro: tutti riuniti qui, al confine del mondo.
Il nostro terzo compagno di cuccetta è il siberiano Alexander. Qui vedete solo il suo zaino e la sua divisa; fisicamente sembra uno di quei personaggi usciti dall’Educazione siberiana di Nicolai Lilin. Non abbiamo foto insieme perché Alex è un giovane marine dell’esercito e i marine non fanno foto, ci puntualizza più volte.
Alex è freddo e impenetrabile durante il giorno. La disciplina militare, sul treno, significa delle lenzuola sistemate alla perfezione e il silenzio, per ore. Ma la notte, si sa, è in grado di scalfire anche le armature più solide ed è così che alle 2 passate e con la scusa dell’insonnia, Alex inizia a rilassarsi. Niente più divisa, ma una tuta che ne rileva i tratti giovani e una irrefrenabile voglia di comunicare. Abbiamo trascorso una intera notte raccontandoci le rispettive vite, senza che Alex sapesse una sola parola di inglese.
Lo abbiamo fatto con dei disegni su un foglio, un foglio che ha voluto tenere lui forse perché la parola Siria vi appariva troppe volte.
Perché Alex, quando aveva 23 anni, mentre io mi preoccupavo degli esami all’università, è andato a combattere il terrorismo in Siria. Ed a 26 è già un veterano, con una moglie che riesce ad abbracciare nei rari momenti di rientro a casa e una figlia in arrivo, l’unico disegno che mi ha permesso di conservare. Ora Alex è nel corpo dei paracadutisti e sta seguendo l’addestramento per diventare ufficiale.
Ma la Siria non la dimentichi, mi spiega, perché lì sì che è dura davvero.
Spera di non tornarci mai più. Mi dice di stare tranquilla perché la Federazione Russa sconfiggerà il terrorismo in tutto il mondo. Io non lo so Alex se hai ragione, ma so che conserverò questa corda da paracadutista che mi hai regalato, sperando che mi doni un po’ di quella tua cazzutaggine per affrontare la vita così, con il coltello fra i denti.
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