Quando si parla di donne che hanno subìto violenza, nel novantanove per cento dei casi per mano del loro compagno, del loro fratello, del loro padre, si tende ad andare subito col pensiero a quel fenomeno, piaga sociale di tutti i tempi, della violenza fisica, della violenza psicologica, dell’omicidio. Fenomeno ormai così dilagato e dilagante, che ha preso il nome di femminicidio. E anche nel definirlo, il fenomeno dell’omicidio ai danni delle donne, si usa un termine discriminatorio. Come se fosse qualcosa di diverso dal togliere la vita a un essere umano. Come se chiamandolo femminicidio lo si rinchiudesse in un recinto, uno spazio angusto dove si rinchiudono i pensieri fastidiosi.
Le forme di violenza sulle donne sono in realtà molteplici, e anche questa è la scoperta dell’acqua calda.
Prima che sia il compagno, il fratello, il padre a esercitare la propria forza bruta, affermazione di una loro pretesa e mai dimostrata superiorità, esercizio di un loro presunto potere su un essere umano che ai loro occhi è solo una proprietà come altre, iniziamo a interrogarci sulla violenza di stato, quella che le istituzioni per prime consapevolmente mettono in atto, il primo scalino che porterà a creare il vero girone infernale della violenza domestica.
Sappiamo tutte e tutti che lo Stato italiano, da sempre, subisce la fascinazione del potere ecclesiastico. Quello che nei secoli si è occupato più del potere temporale che di quello divino, quello che è sempre entrato, prima in maniera quasi occulta, attraverso trame e corruzioni varie, e poi con la legge del 1929, di diritto nelle faccende dello stato italiano. Non è il caso di ripercorrere secoli di abusi e soprusi. Non è funzionale al discorso. Ciò che più è importante è l’influsso dell’ipnosi cattolica sui costumi sociali. Non è nemmeno un caso se siamo noi lo stato che ospita il Vaticano, siamo noi lo stato che è arrivato in ritardo su ogni tipo di problematica che riguardasse le donne.
Eva deve essere punita: si è permessa un’oscena relazione con il diavolo tentatore. Lei, figura di secondo piano, non creata con lo stesso fango di cui è impastato Adamo, ma nata dalla sua costola. Un derivato, insomma.
Le donne della chiesa sono tante piccole Eva, servitrici ma non protagoniste. Mai diranno messa, mai diverranno papa. Potremmo anche dire vabbè, fatti loro. Ma non sono solo fatti loro. Sono anche fatti nostri.
Questi fondamenti della dottrina cattolica, grazie anche al contributo poco illuminato di un partito, che già dal nome tradiva e affermava la sua natura e il suo posto, quella democrazia “cristiana”, oggi riciclata sotto diverse bandiere, che ha avuto nella chiesa, nei sacerdoti di campagna e di città i più formidabili alleati del mantenimento del suo potere di governo, sono stati per anni e decenni, alla base delle politiche dei governi democristiani. Vogliamo ricordare che fino al 1963 le donne non entravano in magistratura? Mi pare di ricordare che qualche “illuminato” politico dell’epoca non riteneva adatta una donna a quella funzione, perché in certi giorni del mese…
Dall’assemblea costituente, 1947:
“La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche. Questa è la mia opinione, le donne devono stare a casa.” (Antonio Romano)
“Ma per i sacerdoti
Fu colpa il tuo maggio
La tua verginità
Che si tingeva di rosso”
( F. De Andrè – La Buona Novella: L’infanzia di Maria)
Vogliamo ricordare che fino al 2000 non entravano nelle forze armate? Mi pare che la motivazione dell’esclusione avesse a che fare con gli appetiti sessuali che potevano risvegliare nei compagni.
Tradotto: le donne sono oggetti atti a soddisfare le voglie del maschio, e allora come si fa a metterle in una camerata con tanti commilitoni maschi? Che sofferenza sarebbe per il maschio di turno? Ma il significato subliminale era anche peggiore: la donna? Solo un corpo, violabile a piacimento.
Ci sono stati anni davvero bui per la condizione della donna.
Quando era la moglie, sottoposta alla potestà maritale. Condizione che è mutata solo nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia. Anche a non voler andare troppo indietro, erano passati sessant’anni dalla prima guerra mondiale e trenta dalla fine della seconda. Il mondo era stato sconvolto, le leggi fasciste solo con cautela erano state abrogate o modificate, ma la moglie era ancora un personaggio di secondo piano, quasi un’invalida sottoposta a tutela. Ciò è tanto più vero se si pone mente a quell’altro scempio di cui ci siamo liberati solo nel 1981: la scriminante dell’onore tradito che scusava il povero marito di una moglie che aveva tradito, senza nemmeno indagare quanto a quel tradimento il cornuto avesse contribuito, con i suoi modi, con la sua violenza, con la sua ignoranza.
Quando era la madre, che doveva crescere i figli nel ristretto spazio del potere paterno, che nasceva dall’essere lui il percettore di reddito perché le donne che avevano un lavoro e a volte un’indipendenza economica erano ancora una sparuta minoranza, che peraltro alloggiava per lo più nel ricco nord. Perché il sud non meritava, come ancora non merita, quel riscatto e quel risarcimento conseguente al saccheggio delle ricche finanze del sud da parte dei Savoia. Infatti ancora oggi si continua a parlare di questione meridionale, di un Sud che arranca per risalire lungo lo stivale e arrivare allo stesso livello socio-economico del Nord. Aggiungiamo il più basso tasso di scolarizzazione che l’Italia vantava fra i paesi civilizzati, e il quadro prende piano piano forma.
Quello stesso stato che, a tutt’oggi, e non è forse questo lo scandalo peggiore? ingiuria i diritti fondamentali delle donne. Non riesce ad arginare il fenomeno della differenza retributiva a parità di mansioni e qualifica. Non è scandaloso, è raccapricciante.
E stiamo qui a scandalizzarci dell’Islam? Certo non amiamo, anzi detestiamo fortemente e condanniamo la concezione arcaica e vergognosa delle donne. Ma per favore, perché condanniamo con tanto ardore la lapidazione delle donne adultere da parte del marito come un diritto sancito, quando noi regalavamo all’assassino gratuito della donna adultera l’impunità della scriminante del delitto d’onore? Come disse un Signore qualche migliaio di anni fa, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Perché condanniamo con fervore e veemenza il divieto per le donne islamiche delle regioni più talebane di avere un’istruzione, quando per decenni la scuola dell’obbligo si fermava alle scuole elementari e il successivo percorso scolastico era appannaggio della decisione del pater, che doveva apporre la sua firma autorizzativa, firma che era incline ad apporre per far studiare il figlio maschio. E quante, quante di quelle firme i pater con la loro potestas non hanno apposto per far studiare le figlie femmine?
Ma lo Stato stava a guardare. Doveva arrivare il ’68, e il maggio francese, e le rivolte studentesche perché qualcosa cambiasse, ma con calma, per carità.
Ora lo stato accetta che poche siano le donne al potere, e di quelle poche, pochissime che arrivano dal proletariato, chiamiamolo così, senza particolari concessioni al marxismo. In Italia al potere le donne ci arrivano o per un potere personale di origine familiare, (soldi? Sempre quelli) o perché si sono legate al carro degli uomini di potere che hanno dato loro lo spazio che ritenevano. A quale prezzo, non vogliamo dirlo né saperlo.
Le donne italiane sono circondate, assediate dal potere e dalla stupidità e dall’arroganza e dall’ignoranza del maschio italiano medio. Quello che tiene più alla squadra di calcio che alla propria donna. Quello che ancora ragiona con il suo organo più visibile.
Che squallore l’idea che negli anni a cavallo fra i cinquanta e i sessanta il maschio italiano fosse ricercato come il miglior stallone. Latin lover, la definizione patinata dei tabloid dell’epoca, non era che la copertura mediatica di una realtà ben più rozza e più squallida.
Si accettava con orgoglio che gli stalloni italiani fossero ambite prede delle donne straniere, più evolute delle italiane, già liberate sessualmente. Le italiane per cui la liberazione sessuale sarebbe arrivata molto tempo dopo, le italiane che ancora in quegli anni di trionfo machista, dovevano conservare la propria virtù e preservarla per farne dono allo stronzo che le avrebbe sposate e tradite a piacimento.
Donnaccia; puttana; donna di strada; donna di vita. Questo era il minimo che poteva capitare alla donna italiana che, negli anni 50-60 si fosse azzardata a vivere liberamente la sua sessualità.
Banalità vecchie e scontate? Luoghi comuni superati? No, per niente.
Basta fermare l’attenzione sulla morte della ragazza di Caivano per mano del fratello.
Il movente: amare un ragazzo transgender, uno che prima era una. Quindi aggressione alla libertà sessuale della sorella. Quindi espressione di un pensiero arcaico che “le volle già schiave prima di Abramo”(F. De Andrè: Via della croce)
Potrei aggiungere molto altro di quanto perpetrato ai danni della donna, con il beneplacito dei governi.
La premessa era solo per delineare un quadro orrifico in cui sono maturati negli anni, si sono moltiplicati e cibati di sé stessi gli stereotipi maschili che hanno condotto l’Italia ad essere il paese con il più alto tasso di omicidi ai danni delle donne. Le violenze iniziano da lontano. E lo Stato è rimasto a guardare. Per dire, per quanti anni ha consentito l’applicazione al femminicidio del rito abbreviato, il garante automatico dello sconto di pena? Non è forse il diretto retaggio del delitto d’onore? Perché vabbè, ma lei però, massì, se l’è cercata.
Io dico di no, a questo pensiero. Dico di no a qualsiasi pensiero simile. Perché non dimentico le donne che potevano salvarsi, se solo avessero avuto contezza e certezza di ottenere aiuto, un aiuto concreto dalle istituzioni.
Un aiuto che non è arrivato, sotto nessuna forma.
Non dimentico le donne che hanno subìto e subìto e subìto ancora per il timore di essere private dei figli. Succede, più spesso di quanto pensiate. Donne vittime dei compagni, donne che hanno temuto il giudizio delle istituzioni e che hanno taciuto.
Che temono e tacciono.
Non dimentico le donne prive di reddito, che hanno sopportato ogni genere di insulto e di violenza, perché una volta denunciato il soggetto, cosa avrebbero fatto? Di cosa avrebbero vissuto?
Cosa ci dice il fatto che il 25 novembre si celebra nel mondo la giornata contro la violenza sulle donne?
Beh, innanzitutto che il fenomeno esiste, persiste. Da noi a quanto pare con maggior forza e vigore. E chi potrebbe negarlo?
E poi? E poi in quell’unico giorno si tengono manifestazioni, sfilano cortei, si alzano cartelli. Le autorità contrite si mostrano commosse.
Giovanni Falcone un giorno disse che la mafia si combatte sui banchi di scuola. Che dove c’è cultura e consapevolezza la mafia non attecchisce.
Il principio non vale solo per sconfiggere le mafie. È sui banchi di scuola che la cultura dell’uguaglianza di genere dovrebbe iniziare a muovere i primi passi, con forza e con convinzione. Spiegando ai bambini che non è l’essere maschio o femmina che cambia il corso della vita. Ma l’essere individuo consapevole e responsabile.
Insegnando ai bambini che ripartizione dei ruoli non significa prevaricazione.
Forse, e solo forse, un giorno (temo) lontano, per le donne la parola libertà non sarà più un miraggio, da veder svanire all’alba del giorno in cui il suo compagno, il suo amore, alzerà su di lei la mano. E sarà sangue.