Smettere di fumare #10 – È venuto troppo presto a salutarmi il fallimento

Purtroppo devo registrare il fallimento dell’impresa. Sottolineando che non tutto è da buttare, devo ammettere di non aver raggiunto l’obiettivo. Potrei illudermi dandomi ancora tempo, ma prolungare l’agonia della sconfitta non mi sembra costruttivo sotto nessun lato da cui la guardo.

O si smette o no, nessuna via di mezzo

Che bizzarra idea quella di smettere di fumare a singhiozzi, cercando di ritagliare spazi specifici per le sigarette, come se un vizio potesse essere scandito da una programmazione razionale. L’unica conclusione possibile di questo esperimento non poteva che essere quella a cui sono giunto: il fallimento. E si tratta di un fallimento lampo, perché dopo soli sei mesi posso dichiarare chiusa la questione: non sono riuscito ad ingabbiare il desiderio.
D’altronde mi sono approcciato nel modo sbagliato alla questione, non tralasciando però una certa coerenza rispetto alla conduzione della mia vita fino ad oggi, un reiterato ed elusivo vorrei ma non posso, potrei ma non voglio, saprei ma non dico, direi ma non so, farei ma non me la sento, me la sento ma non farei, proporrei ma non credo, crederei ma non propongo. E coerentemente con il passato ho cercato quella via di mezzo che anche questa volta ha portato ad un vicolo cieco: il fallimento. Avrei dovuto decidere di smettere e basta eventualmente, non si può smettere a metà. D’altronde me lo hanno detto tutti, mi hanno avvertito, ma il mio insano istinto per le scommesse mi ha giocato l’ennesimo tiro mancino, ed io di piede sono mancino (piede per altro molto delicato con il pallone, ci tengo a sottolinearlo).

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Non è tutto da buttare

Una volta ammesso il fallimento, e non voglio più ripeterlo, mi vedo costretto, per onestà intellettuale e per tacciare le malelingue pronte a dirmi che me lo avevano detto e ad esultare per la caduta del prossimo in questo caso proprio prossimo a loro concependo una declinazione dell’amicizia capace solo di apprezzare il declino verso il baratro di un amico, ad ammettere che non tutto è stato perduto. Posso affermare, con l’orgoglio laterale di chi sa di doversi perdonare qualcosa, di aver diminuito sensibilmente il numero di sigarette fumate in una giornata. Niente a che vedere con lo smettere, nemmeno lontanamente d’accordo, però non possiamo non parlare di miglioramento. Poi sono sicuro che anche questo fantomatico successo svanirà e tornerò a fumare tutte le volte che mi verrà voglia, ma per ora mi godo il premio di consolazione, non lo sbandiero ai quattro venti ma di certo nemmeno lo nascondo. Cosa può essere? Una medaglia di bronzo? Una sconfitta in finale di Champions (essendo juventino ne so più di qualcosa)? Un’eliminazione al terzo turno di Wimbledon per mano di Federer (o forse, più onestamente, di Karlovic)? Non lo so, ma ho intenzione di esplorare l’essenza di questo traguardo, capire quanto è minimo e quanto soddisfacente, non potendo vantare il successo mi coccolo la sconfitta onorevole, dopo aver buttato sudore sul campo e aver lottato con demoni troppo più ubriachi di me.

Dove ho sbagliato

Facile: dall’inizio. Ho proprio sbagliato l’obiettivo. Il vizio ha una influenza troppo stretta per poter essere gestito, quantomeno in autonomia. Altrimenti che razza di vizio sarebbe? In più ci ho messo il due di bastoni con briscola di spade: non ho demonizzato il nemico. Il mio approccio è stato più quello di un’amante che voglia gestire l’impeto dell’amata, ho continuato a guardare le sigarette con tenerezza sperando di non apprezzarle più, assurdo. Le mie intenzioni hanno avuto l’impatto di De Sciglio sulla fascia destra, degli ottanta euro di Renzi sullo stipendio, di un libro di Volo sulla letteratura, di un’accelerazione della Radwanska contro la Kerber. Ho sbagliato l’approccio ed ho continuato a credere in un’utopia che non è mai esistita nemmeno nella mia testa, ho affrontato un drago con un cavatappi sperando di non morire bruciato prima di trovare un rosso da stappare. Insomma, ho fallito da principio. Mentre lo scrivo sono già alla seconda sigaretta nello spazio di 4.000 battute.

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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