Credevo che un certo tipo di forma mentis fosse di proprietà esclusiva del mio compare di corsa. Invece, a quanto pare, in particolari condizioni psicofisiche, anche io sono soggetto a forme di autismo sportivo.
Personalmente questi sono giorni decisamente difficili. Per una serie di cause attribuibili alla mia innata capacità di rovinarmi la vita è praticamente un mese che lavoro sette giorni su sette, per una media di 9/10 ore al giorno. Un ritmo che stroncherebbe la voglia di vivere a un ventenne figurarsi a uno con una quindicina d’anni in più. Situazione, questa, che tra le altre cose, pur non alzando neanche di un euro il mio bilancio mensile, riesce ad azzerare la mia vita sociale e il tempo destinato alla scrittura, motivo per cui, anche con questo diario tendo a essere stringato. Detto ciò, la corsa ha sempre uno spazio nella mia quotidianità, la sua finestra l’ho ritagliata alle 6 di mattina e forse anche per questo motivo, quest’oggi ho commesso un errore.
In pratica, non so perché visto che di solito sono molto preciso, ho sbagliato a selezionare l’allenamento preimpostato sul mio Garmin. Invece del lungo defatigante previsto il venerdì ho fatto partire l’allenamento sul passo, decisamente più stancante e che, di solito, faccio il lunedì. Essendo ormai una prassi consolidata per me non era neanche ipotizzabile l’errore, quindi, orlogio o no, ero convinto di stare eseguendo il mio bel defatigante. In pratica io seguivo le indicazioni del Garmin che mi diceva di aumentare il ritmo ma in cuor mio ero convinto di potermela rilassare, non mi è sorto alcun dubbio nemmeno a metà allenamento quando mi sentivo morire e non riuscivo a raccapezzarmi del perché fossi così stanco, del perché il mio cuore non ne voleva sapere di stare basso e del perché, in sostanza, avessi questo desiderio di fermarmi, togliermi le scarpe, buttarmi nel canale del Forlanini e dare il mio corpo in pasto alle nutrie. Insomma, finisco in qualche modo l’allenamento, salgo in casa con l’incedere tipico del poliomielitico e il cervello funestato da pensieri drammatici: sicuramente è una trombosi, forse un principio di infarto, forse sono già morto e quello che sto vivendo è una reminiscenza sensoriale tipo Ghost. Forse addirittura sono morto già da anni e tutto quello che credo di aver vissuto non è mai esistito. Insomma, trauma. L’illuminazione l’ho avuta solo quando ho scaricato l’allenamento sull’app del cellulare e, a mente lucida (ero sul cesso), ho capito che non ero io a essere morto ma il mio orologio a suggerirmi cose sbagliate.
Perché racconto questo episodio? Per un semplice motivo: mi sono reso conto che a differenza di quello che si dice degli atleti, quelli veri intendo, a quanto pare il mio corpo è più forte della mia testa (di cazzo). S’era stabilito che si doveva riposare? Lui me l’ha fatto capire in tutti i modi, persino rendendomi insopportabile un allenamento, quello sul passo, che oramai faccio in scioltezza. La cosa bella è che questa scoperta apre scenari sconvolgenti: e se riuscissi a convincere il mio corpo che può chiudere i 21k tenendo un passo del 3.30? Ce la farebbe? Chissà… Nel dubbio settimana prossima setterò il Garmin a passo da keniota.
Ps: dato che questo diario ormai è diventato un botta e risposta tra me e il mio sodale, ci tengo a puntualizzare una cosetta che mi preme da martedì. Quando nel suo ultimo scritto l’atleta Agafan ha vaneggiato di consapevolezze interiori e soprattutto ha accusato il sottoscritto di non avere l’elasticità per capire che nella vita si può cambiare idea, è giusto che si sappia che il mio sodale mente sapendo di mentire. Quando io ho deciso di partecipare alla Stramilano, infatti, non volevo coinvolgere nessuno. Era una mia decisione. Lui, invece, con le sue solite manie strabordanti di grandezza, ha voluto aggregarsi, imponendo, per di più, la realizzazione di un resoconto settimanale dell’impresa, non fosse già complicato mettersi in forma dopo anni di nulla fisico. Dopo giorni di richieste pressanti ho accettato pretendendo una sola condizione in cambio, e cioè quella di obbligarci a portare a termine l’impresa, costi quel che costi. Perciò, caro compare, anche se dovesse stroncarti un infarto domani, sappi che io ogni martedì fino al 19 marzo 2017 piomberò sulla tua tomba adagiata in chissà quale campo sconsacrato e pretenderò la tua parte di diario. Non ci sarà salvezza per te, tantomeno redenzione, solo chilometri da fare e tabelle da seguire.
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