Non per voler fare pena a tutti costi, ma io faccio una vita di merda. Lavoro sempre, non ho un giorno di pausa e di norma esco di casa alle 9 e torno alle 20. Con questo regime è pacifico che, se voglio allenarmi, l’unica è svegliarsi alle 6 e fare tutto prima di cominciare a trotterellare in giro.
Per questo, quando capita che per alcune casi del destino ti ritrovi col pomeriggio libero, non mi faccio scappare l’occasione e approfitto delle ore libere per piazzarci dentro una corsetta. A orari diversi, è ovvio, corrispondono scenari e sensazioni diverse. Mi piacerebbe produrre un pisciatone di parole infinito ma, dato che questa settimana non ho tempo, questo diario sarà breve e sotto forma di lista. Ecco dunque tutto quello che la mia mente, per una volta non ottenebrata dal sonno, ha potuto registrare durante una delle mie rare corsette pomeridiane.
- Per strada incontri anche persone e non solo animali. La cosa antropologicamente è anche positiva, almeno fino a quando la vecchina con il carrello non ti si para davanti costringendoti a un carpiato con trittico di madonne incluse.
- Alle 18 c’è una concentrazione di gnocca molto più alta, il che è un bene: incrociare una femmina mentre corri ti fa automaticamente aumentare il ritmo, almeno finché la suddetta femmina non ha girato l’angolo.
- Il corpo di giorno reagisce molto meglio che all’alba. Non che le prestazioni migliorino, anzi, diciamo che vado veloce uguale, ma almeno non sbadiglio.
- Correre di pomeriggio ti solleva da uno dei traumi peggiori e cioè, quando sorge il sole, alzarsi dal letto e iniziare a correre. Di pomeriggio, invece, mi sento meno gazzella. O leone. O armadillo. O pavone (cit.).
- Alle 18 fa meno freddo che alle 6, in compenso c’è più smog. Quindi magari non prendi il raffreddore, ma se hai il fiatone e un camionista decide di scalare due marce, rischi il tumore per direttissima.
- Mai lasciare fare alle playlist casuali di Spotify. La canzone di merda è sempre in agguato, sia che siano le 6 di mattina, sia che siano le 6 di sera.