Sanremo 2019 - 5 canzoni da ricordare e 5 che anche no

Sanremo 2019 – 5 canzoni da ricordare e 5 anche no

Sanremo 2019, i cinque pezzi da ricordare e i cinque di cui si può fare a meno. Al di là delle polemiche, sia quelle musicali sia quelle insensate, ecco cosa ci è sembrato meritevole di approfondimento.

Festival di Sanremo 2019, davvero della canzone

Si chiude tra la polemiche il Festival di Sanremo 2019, come sempre del resto, solo che quest’anno la presunzione è che la discussione verta su non meglio precisati valori musicali.
Al netto delle dichiarazioni di politici che non si sa a quale titolo commentino calcio, musica e più in generale arte, rimane la sensazione che il Festival voluto da Claudio Baglioni abbia scompaginato un po’ le acque dello stantio orticello italiano.

La prima novità a cui tutti gli spettatori hanno dovuto far fronte è la lunghezza di uno spettacolo completamente musicale che, sforate le due e ore mezzo, diventa decisamente impegnativo. Certo con ventiquattro cantanti in gara il tempo diventa tiranno, soprattutto se non si opta per l’eliminazione, per questa ragione il Festival di quest’anno ha segnato una decisiva svolta a favore della musica live a scapito dei tempi televisivi. 
Questa scelta può piacere o meno, ma segna il passaggio da certo tipo di spettacolo ad un altro, dopodiché de gustibus non disputandum est. 

L’altra scelta che ha causato la lunghezza sopracitata è stata quella di non eliminare nessun concorrente, in modo da far ascoltare tutte le canzoni almeno quattro volte: di certo è stata apprezzata dagli addetti ai lavori, dai cantanti e soprattutto dovrebbe aver premiato i pezzi più complessi e di minore impatto, sicuramente io ho gradito. Una canzone complessa o semplicemente più fragile, meno pomposa o dichiarata (fate rientrare in questa categoria da Mahmood a Cristicchi per intenderci), con quattro passaggi, che restano pochissimi per capire un pezzo strutturato, aumenta le possibilità di competere con canzoni più facili e di immediato appeal. 
Ovvio che ci fossero in competizione Un’avventura e 4.33 di Philip Glass i quattro passaggi non conterebbero, ma insomma avete capito quello che volevo dire.

Queste due innovazioni, che rientrano in un contesto di sobrietà e celebrazione della musica voluta dal Direttore Artistico, sono state l’occasione per far tornare volentieri anche le star nazionali sul palco dell’Ariston: per esempio Ligabue, Ramazzotti, Elisa, Venditti. Non un novità in verità, già Fazio e Bonolis si mossero per riportare i big della discografia italiana a Sanremo invece che artisti internazionali strapagati e che poco c’entravano con il contesto. La vera novità di quest’anno è il divertimento con cui questi artisti hanno participato, giocando col proprio ruolo di star e mettendosi al servizio dello show musicale, interpretando grandi successi della storia della canzone italiana. Su tutti ho apprezzato davvero il duetto fra Claudio Baglioni ed Elisa nell’omaggiare Tenco. Da brividi.

5 canzoni da dimenticare

Veniamo alle canzoni, altrimenti devo cambiare titolo e un po’ mi dispiacerebbe.

Tra le canzoni che dimenticheremo ce ne sono molte, però in generale a me non sono piaciute quelle di Paola Turci, degli Zen Circus, di Cristicchi e poco poco quella di Silvestri.
Di canzoni ben più brutte di queste ce ne sarebbero una marea, pensate solo al capolavoro horror dei Boomdabash, però da questi artisti mi aspettavo qualcosa di diverso. La sensazione è che Paola Turci e Cristicchi abbiano giocato su formule già conosciute e vincenti, ricadendo un po’ in uno stereotipo che non li ha fatti emergere nel contesto di grande novità e generale energia.

Per Silvestri e Zen Circus vale lo stesso discorso ma con alcune differenze. L’indie-pop e l’elettro-pop sono apparsi vecchi, vecchissimi di fianco a cantanti di ventisette anni che cantavano davvero la novità. Coraggiosi gli Zen Circus ad andare a Sanremo senza un ritornello, ma forse non altrettanto a presentare un pezzo che con la scusa dell’anarchia la butta in vacca rischiando di aumentare lo stereotipo del tossico da centro sociale. Si poteva fare qualcosa di più ragazzi.

Ma prima di dire i miei cinque preferiti vorrei fare un elogio. I Negrita sono andati a Sanremo con un pezzo vecchio, trito e ritrito, ma che aveva un sapore sincero e una buona ratio. Ecco allora preferisco il gruppo aretino per la coerenza e la capacità di parlare con serietà delle proprie idee, anche senza nessuna particolare novità.

5 canzoni da ricordare

Per farla breve, a me sono piaciuti tantissimo MahMood, Achille Lauro, Irama, Ex-Otago e Loredana Bertè.

Sui primi due che dire? Pezzi belli, giovani, freschi e profumati. Il primo cantato benissimo e con una vocalità più rivolta alla Francia che all’Italia, il secondo cantato con tutta la spocchia di un artista bravo e maledetto come il promettente Achille Lauro.

Irama ha scritto, secondo me, il più bel testo di Sanremo e gli Ex-Otago hanno avuto il coraggio di portare solo una canzone d’amore, facendo capire che basta un po’ di bellezza per veicolare leggerezza dove purtroppo il destino ha deciso di portare dolore e morte.

Per Loredana Bertè vale il Premio alla carriera. Come si può non amare una donna “sopravvissuta” a tutto e ancora in piedi? Però la biografia non basterebbe a giustificare il grande successo ottenuto a Sanremo dalla cantante dai capelli blu. La verità è che, da vera guerriera, la Bertè si è presentata all’Ariston con un gran pezzo, emotivo e potente, quei pezzi che cantati da lei diventano subito un intreccio di vita e arte che fa accapponare la pelle.

Su Piggy the pig

Nasce negli anni 80 con ancora l'eco delle chiamate londinesi. Quando ci arriva a Londra è scoppiato il Brit-pop, intanto le urla del grunge scendono sotto pelle. Ama il vino rosse e le birre rosse, ascolta musica per non piangere ma a volte gli fa l'effetto contrario.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.