Recensione Underworld – Attraverso il viaggio di una pallina da baseball, Don DeLillo racconta in maniera magistrale la storia dell’America dagli anni 50 ai giorni nostri. Quasi 900 pagine di capolavoro narrativo, di visione lucida del mondo, di critica sociale, di tutto. Si capisce che mi è piaciuto?
Ci sono libri e libri. Ci sono quelli che ti accompagnano per un determinato frammento della tua vita e poi spariscono nella memoria. Poi ci sono quelli immortali, titoli che conosci fin da quando eri piccolo e che hanno forgiato generazioni e generazioni di lettori. Ma ci sono anche quelli, invece, che per via delle motivazioni più disparate (un film, una foto su un social, un commento da parte di un maître à penser di Pomeriggio 5), brillano per un’estate e poco più. Poi, tra questo mare di letteratura, ci sono i libri che ti entrano nel cuore e nella testa e te li ribaltano con delicatezza, ti suggeriscono un modo diverso di pensare e, in certi casi, arrivano addirittura a cambiare in maniera permanente il modo che uno ha di approcciare un testo scritto. Pr quello che mi riguarda, Underworld di Don DeLillo rientra in questa speciale categoria. Troppi i punti fondamentali (almeno per me), troppi i significati, alcuni dei quali persino indipendenti dal senso stesso del libro. Troppe anche solo le singole frasi che per la loro perfezione dovrebbero essere mandate a memoria. Per provare (perché questo sto facendo, una recensione è un’altra cosa) anche solo a descrivere cosa possono essere 900 pagine dense come il piombo, ma allo stesso tempo leggere come il profumo di un gelsomino a giugno, bisogna andare per gradi e provare a districarsi con cautela in mezzo a tanta meraviglia. Speriamo di farcela.
Trama e stile
Il libro comincia con un prologo intitolato Il Trionfo della Morte (come il titolo del quadro visto tra gli stralci di una rivista da J. Edgar Hoover, uno dei protagonisti del prologo) che definire sontuoso è decisamente poco. Viene raccontato lo “Shot heard ’round the world”, letterale, “il colpo che venne sentito in tutto il mondo.” Si tratta del fuoricampo con cui il 3 ottobre 1951, Bobby Thomson dei New York Giants consegnò la sua squadra alla storia battendo i Brooklyn Dodgers di Ralph Branca. Il libro dunque prende spunto da partita che è entrata nella storia degli americani, un racconto popolare indelebile, l’evento sportivo in grado di segnare la memoria collettiva di un popolo (uno dei modi di dire degli americani dell’epoca è proprio questo: “Tutti si ricordano dov’erano quando Bobby Thomson fece quel fuoricampo”).
La pallina che finì nelle tribune quel 3 ottobre è il filo conduttore di tutta la storia.
Il suo passaggio di mano in mano, partendo dai giorni nostri, cioè gli anni 90, e procedendo a ritroso fino ai momenti appena seguenti la partita, è la cornice narrativa in cui DeLillo espone al mondo cosa vuol dire creare un capolavoro. Attorno al viaggio quasi cinquantennale di questa pallina, leggermente segnata dall’impatto con una colonna del Polo Grounds di New York (non c’è più, venne demolito nel 1964) e il cui primo proprietario fu un ragazzino di colore di Harlem, si dipanano le storie di decine di personaggi che, con le loro vite, le loro debolezze, raccontano un pezzo di storia d’America.
Tra questa miriade di umanità, un ruolo centrale lo ha senza dubbio Nick Shay, l’ultimo possessore della palla nonché professionista di un’azienda che si occupa di stoccaggio rifiuti (e che i critici identificano in DeLillo), ma ce ne sono molti altri, taluni che compaiono solo per un capitolo, altri che vengono solo citati. La meraviglia che si dipana agli occhi pagina dopo pagina è proprio come De Lillo sia riuscito a dare a ognuno di questi un peso fondamentale, indipendente dal numero di pagine in cui sono presenti. Alcuni sono inventati, altri presi a prestito dalla storia reale, ma ognuno è legato all’altro e le loro scelte sono causa o conseguenza di quelle dell’altro. Nel raccontarli DeLillo mette in piedi un esercizio di stile disarmante, se non altro per chi fa della scrittura un lavoro. L’autore americano, infatti, passa con facilità dal discorso diretto all’indiretto, cambiando continuamente prospettiva riuscendo, nonostante ciò, a tenere saldamente legato il lettore alla storia, o meglio, alle storie che compongono l’affresco di un’epoca.
Cosa c’è in Underworld
C’è tanto. Alle volte penso che ci sia addirittura troppo. Ciò che traspare prima di tutto, è la critica feroce alla società moderna in generale e a quella americana in particolare. DeLillo, per esporcela, usa proprio la metafora della spazzatura, rappresentazione calzante di quella che è diventata la nostra umanità. Noi non siamo più ciò che produciamo ma, nel contempo, non siamo neanche più ciò che consumiamo: noi siamo i rifiuti che creiamo. Il legame tra il consumare e il produrre spazzatura è stretto tanto quanto quello tra consumare e esistere. DeLillo ci racconta che esiste una relazione terribilmente logica tra il nostro modo di organizzare e produrre rifiuti e il vivere la nostra vita e le nostre relazioni. Il rifiuto moderno è lo specchio con cui DeLillo vuole farci vedere il nostro ipertrofico sistema di vita (il consumo sfrenato come paradigma per descrivere la pienezza dell’essere): un modo folle di correre e produrre, funzionale al voler dimenticare l’unica verità incontrovertibile di questo mondo, e cioè che alla fine della corsa, finiremo anche noi in discarica (oltretutto, raggelante pensare che DeLillo nel 1997 ha pubblicato il libro con una copertina, uguale in tutto il mondo, che si è rivelata simbolica: una foto delle Torri Gemelle avvolte da una coltre di fumo, con davanti una croce romana e sulla sfondo un’aquila, simbolo appunto dell’America).
Correre, consumare, incasellarci, distinguere e definire. Che sia amore o amicizia, o che siano invece plastica, vetro e organico, poco importa. Dobbiamo farlo in fretta e prima che il nostro tempo finisca.
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L’importanza del tempo
Il tempo, in Underworld, è un altro elemento fondamentale. DeLillo descrive il nostro modo di divorare tempo dipanando una rete narrativa di relazioni e situazioni che oserei definire unica. Il passato segue il presente e ce lo spiega, il presente, invece, anticipa il nostro passato raccontandoci i luoghi e le situazioni che vedremo in seguito. Immersi in questa maglia, troviamo personaggi che lottano contro lo scorrere del tempo e contro le paure che esso stesso genera. Nick, rincorre quella maledetta palla non perché fosse il simbolo di una vittoria, anzi, lui tifava i Dodgers (il simbolo di una sconfitta), ma perché gli ricorda il tempo in cui nulla era importante, in cui non gliene fregava un cazzo di niente, ed era libero da tutto. Suor Edgar, un altro personaggio stupendo e terribile che troverete verso la fine (l’insegnante del fratello di Nick, Matty), è una donna che ha fatto della sua vita un enorme libro di regole, dove la pulizia è sinonimo di asettico, dove il cibo non ha più sapore perché non è più quello il punto fondamentale del mangiare, il punto è pulire il piatto. Una vita dove la religione è stata sostituita all’ordine, il conforto della preghiera al conforto di un gesto da eseguirsi “alla determinata ora”, un’esistenza controllata in cui i sentimenti, infine, vengono affogati dalla paura del mischiarsi, di sporcarsi. A farla capitolare, alla fine, è un miracolo, o meglio, un’illusione popolare creatasi spontaneamente a seguito di un omicidio. La fede più infuocata che prende vita grazie a un miraggio di quart’ordine intravisto sotto il cartellone pubblicitario della Minute Maid. Le regole svaniscono, una volta tanto, e una vecchia suora fredda come il marmo, cede alla vita, ai suoi odori, ai suoi umori. Vivido barlume di vita prima di finire… in spazzatura.
Potrei andare avanti per ore a descrivervi ogni singolo personaggio, in ognuno potrei trovare qualcosa da raccontarvi e per ognuno delinearvi il ruolo che ricopre nel caleidoscopio di vita messo in piedi da DeLillo. Ma sarebbe una battaglia sterile. Troppo grande questo libro, troppo imponente l’opera, troppo soggettive le corde toccate.
Vi tocca leggerlo. Anche due volte.
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Valutazioni emotive:
Felicità 65%
Tristezza 80%
Profondità 98%
Appagamento 95%
Indice metatemporale 98%
Un commento
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