Terza puntata di questo diario a spasso per Laos e Cambogia. Leggerete del fiume che ha accompagnato il mio vagabondare: il Mekong.
Il Mekong, altro fondamentale protagonista di questo viaggio in Laos. Lo osservavo, lo navigavo e continuavo a chiedermi “Ma il Mekong è il fiume più… più… più cosa, di tutta l’Asia?”. Cercavo un record, una statistica, un aspetto per cui questo corso d’acqua fosse citato e ricordato nel panorama mondiale o per lo meno asiatico. La sua ampiezza o lunghezza, l’importanza o la maestosità.Non l’ho trovata, non so cosa sia “più”, il Mekong. Ho scoperto essere l’undicesimo fiume al mondo per lunghezza e il dodicesimo per portata. Il fiume che caratterizza l’Indocina, sicuramente, ma innanzitutto un fiume che mi ha colpito, affascinato e ammaliato.
L’idea che me ne ero fatta prima della partenza veniva da queste parole di Marguerite Duras, tratte da “L’amante”.
Mia madre mi dice che mai, in tutta la vita, vedrò fiumi belli come questo, grandi, selvaggi come il Mekong e i suoi bracci che scendono verso gli oceani, distese d’acqua che spariscono nella profondità degli oceani. Nel paesaggio piatto a perdita d’occhio questi fiumi scorrono veloci, si riversano in mare come se la terra si inclinasse.
In effetti mi sento di concordare con la mamma della giovane protagonista del romanzo. Di fiumi così, in vita mia, non ne ho mai visti. Mai sono stata tanto attratta e rapita da uno specchio d’acqua, da uno scorrere tanto immenso e placido. Placido, ma al contempo potente, che sa esprimere energia e forza senza però essere troppo evidente. Un po’ come una bella ragazza, che non ha bisogno di mettersi in mostra per attrarti e colpirti, non ha bisogno di indossare una maglia scollata o una gonna corta per sedurti. Lo fa nella sua semplicità e nel suo realtà. È bello, punto. Così com’è.
Di abiti attraenti il Mekong proprio non ne indossa. Un’acqua torbida la sua, il colore che lo caratterizza è il giallo ocra, color fango insomma. Da queste parti dicono che è per la stagione delle piogge, che in un altro periodo il Mekong sa anche essere azzurro. A vederlo così, difficile credere a queste parole: paiono dicerie, leggende appunto.
Quelle di questo fiume non sono certo acque azzurre e trasparenti, colori che potremmo immaginarci pensando a un fiume “bello”. Il confronto con le acque cristalline del mare sardo o delle isole greche che le mie amiche hanno postato su Facebook durante le loro vacanze può non reggere, o forse non deve proprio sussistere. Probabilmente per chi non c’è stato non è semplice capire il fascino e la bellezza del Mekong attraverso le foto che lo ritraggono. È una bellezza non convenzionale la sua.
Non c’è dubbio, invece, sull’effetto che questo fiume fa sulle persone, non solo turisti come la sottoscritta. Basti vedere i bambini che in esso si tuffano felici e schiamazzanti o i bufali che rilassati se ne stanno in ammollo nelle pozze create ai margini delle strada o infine i monaci che, schivi e riservati, si lavano con indosso le loro tuniche arancioni, probabilmente infastiditi da quegli occhi occidentali che neanche troppo di nascosto li osservano (e che si chiedono, se fossero bianche, quelle tuniche, chissà che colori assumerebbero dopo un lavaggio in questo fiume).
Il Mekong l’ho visto in diversi momenti, uno dei più belli ed emozionanti sicuramente l’alba. Una terrazza dell’albergo (ti piace vincere facile: sveglia alle 5.30, guardi l’alba in pigiama per poi tornare tranquilla a letto…). Regione di Si Phan Don (letteralmente quattromila isole, ovvero isole e isolotti creati dal fiume in questo suo tratto, nel Laos meridionale). Una luce lieve, dapprima. Livida, scura, le nuvole riempiono il cielo, rendendo lo spettacolo ancora più ricco ed emozionante. Si passa alle sfumature dell’indaco, quasi viola e poi pian piano tutto si colora di arancio, di giallo, di rosso e di luce. Quando sorge l’alba sul Mekong sembra di assistere ad un avvenimento sacro. Il tempo si ferma, la natura trattiene il fiato. Tutto rallenta per un istante, in contemplazione di questo spettacolo così vicino all’Eterno e all’Infinito. E poi, quando spunta il sole, il mondo inizia a vivere. La natura incomincia a muoversi, a risvegliarsi. Silenziosi sfilano i monaci per la questua giornaliera. Il dipendente dell’albergo pulisce i tavoli dalla serata prima. Giungono in terrazza lo sfrigolio delle pentole dalla cucina e le voci ovattate e ancora assonnate dei bambini che già sono pronti a iniziare i loro giochi. Ed è di nuovo giorno, un altro giorno come tanti.
Il Mekong sa essere anche potente e violento in modo evidente e palese, come nelle cascate o nel suo tratto più ampio, in Cambogia, dove ad un certo punto sembra di stare in mare aperto. Quando lo specchio d’acqua incomincia a incresparsi, per poi diventare un vero e proprio “mare grosso”, una distesa che si espande a perdita d’occhio, una superficie che per il suo colore ti fa domandare se si tratta di acqua o piuttosto di un’immensa area sabbiosa.
Incredibile anche la potenza del cielo quando siamo in navigazione e all’orizzonte si vede il monsone pronto ad esplodere in tutta la sua irruenza. Non molto distante da noi sta già tuonando, i lampi si stagliano in lontananza, abbacinanti. Sopra le nostre teste compare anche una sorta di arcobaleno, nascosto dal bianco soffice e materico delle nuvole: pare quasi un’aurora boreale, o per lo meno un fenomeno naturale che non saprei descrivere in altro modo. La natura partecipa in tutta la sua bellezza, maestosità e indomita ribellione. Il Mekong, invece, continua imperterrito il suo scorrere, prosegue insolente e impertinente il suo percorso, incurante di ciò che lo circonda. A lui si può perdonare anche questo…
Alcune foto sono dei compagni di viaggio Gregorio, Veronica e Paola. Grazie!
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