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Due punti di vista – Uwe Johnson

Due punti di vista di Uwe Johnson si cimenta in quella che sarebbe la forma più immediata e forse banale di raccontare la divisione in due di una città: narrare i due punti di vista. Essendo Johnson uno scrittore di caratura assoluta, la prosa innanzitutto rende il testo affascinante, le istanze portate avanti dai protagonisti poi consentono un’analisi profonda della questione.

Due punti di vista di Uwe Johnson

Qualche volta al crepuscolo, nella luce che si affievoliva, che ora veniva alterata ogni giorno più presto dalle ombre dei caseggiati e da garze di nebbia, se qualcuno avesse voluto portarla di là dal confine sarebbe andata con lui senza pensarci, semplicemente perché era stufa, senza avere molta speranza di migliorarsi.

Ci risiamo, parliamo ancora una volta di un libro fuori catalogo di Uwe Johnson. D’altronde sto scoprendo i testi di questo straordinario autore e non è certo colpa mia se in Italia non gli viene concessa la giusta vetrina. Dopo l’esordio Congetture su Jakob (leggi la recensione) in cui Johnson ha giocato a destabilizzare non concedendo nessun punto di vista privilegiato, anzi amalgamando i punti di vista in una rifrazione confusa, ma non confusionaria; dopo Il terzo libro su Achim (leggi la recensione) in cui viene esplorata l’incomunicabilità tra le due Germanie facendo sbattere la testa del protagonista tedesco occidentale contro una Germania dell’est incomprensibile; prima della monumentale impresa de I giorni e gli anni (edita da L’orma e di cui la recensione è andata persa, ma per fortuna qualcun altro di noi lo sta leggendo e ne renderà conto); ecco questo Due punti di vista, ulteriore approfondimento dell’argomento più caro: la divisione della Germania.

In questo libro l’autore si cimenta in quella che sarebbe la forma più immediata e forse anche banale di raccontare la divisione in due di una città: narrare i due punti di vista. Va da sé che, essendo Johnson uno scrittore di caratura assoluta, la prosa innanzitutto rende il testo affascinante, le istanze portate avanti dai protagonisti poi consentono un’analisi profonda della questione. Più che altrove fa qui capolino anche l’ironia, di modo che questi sbilenchi Romeo e Giulietta si ritrovano per le mani un amore improbabile che sfocia in un lieto fine non omologato.

La scrittura viene qui ulteriormente normalizzata, dopo che Il terzo libro di Achim aveva già smussato gli angoli dell’esordio; d’altronde quanto proposto ne Le congetture di Jakob rimane forse irripetibile. Abbiamo così un libro più semplice e leggero, con una scorrevolezza che oggettivamente non può essere riconosciuta ai due precedenti. Resta inteso che si tratta di una scorrevolezza relativa, la lettura di Johnson rimane impegnativa e non concede passività, non stravolge di certo la sua scrittura.

A tal proposito mi sono ormai reso conto che la prosa dell’autore ha una cifra stilistica delineata, viene adattata ai testi per incontrare le esigenze delle singole opere, ma risulta riconoscibile, una firma d’artista non falsificabile. Una scrittura che tende a disorientare, mescolando diversi momenti e pensieri in un unico flusso innestato di frammenti, una linearità composita spesso resa con muri di parole che da un lato tolgono il fiato, dall’altro immergono totalmente. Anche se, naturalmente per uno scrittore di tale classe, il ritmo viene gestito a seconda delle circostanze e, anche nei flussi più lunghi, l’appiattimento non è contemplato, mentre una ricchezza di riflessioni e parola sgorga impetuosa dalle righe.

La divisione di una città

Adesso evitava di fare cose dalle quali non avrebbe potuto tirarsi indietro, stava in guardia, rifuggiva da una decisione, nel pensiero cancellava la frase, si chiudeva fuori, cambiava pagina.

Due punti di vista

I capitoli sono equamente divisi tra i due protagonisti: il giovane signor B. e l’infermiera D. Si tratta di due giovani che hanno una relazione sentimentale, più blanda che romantica, e che si ritrovano divisi dalla costruzione del muro di Berlino: B. ad ovest, D. ad est. Viene troncata una relazione dal potenziale inespresso, così come il muro (ma anche la divisione precedente) ha inibito un possibile futuro comune. L’incomprensione politica si confonde con quella sentimentale, dove le prese di posizione e le incomunicabilità seminano meglio del riguardo.

I due punti di vista sono intrisi di malinconia e stanchezza, spossati dall’imperscrutabilità di disegni insensati giocati sulla loro pelle. Anche se si tratta di malinconie diverse, con un signor B. che viene colto nelle proprie aspirazioni borghesi, incarnate dalla macchina sportiva rubata e che dà modo all’autore di appioppargli una patina ridicola, pur senza mai esagerare. L’amore stesso di B., o meglio l’impegno a far passare il confine alla ragazza, è dettato dalle regole imposte, dall’eventuale giudizio negativo che il disimpegno comporterebbe. La relazione viene vissuta da B. come un ideale, ma un ideale forgiato nella fucina della cultura capitalistica, con tutte le sfumature di arrivismo e vita comoda.

L’infermiera D., invece, vive una malinconia sedimentata dalla delusione verso lo Stato, fino a che sopraggiunge una stanchezza che inibisce qualsiasi ribellione, tanto da essere trascinata verso l’ipotesi della fuga dopo aver smarrito qualsiasi velleità. Lo Stato ha tradito i propri cittadini, D. ha perso per strada tutta la fiducia che riponeva nella via orientale che, d’altro canto, si è materializzata in una chiusura sanguinosa, una divisione che si rivela una prova di forza verso la propria popolazione. Le speranze e i sogni di D. sono stati chiusi dal muro quanto la sua persona fisica.

Incomunicabilità

[…] nel pensiero definiva realistica la sua rinuncia alla D. perché non poteva darle aiuto contro il suo Stato, di questo col passar del tempo era più saldamente convinto, e già avrebbe quasi potuto dirlo senza imbarazzo.

I due punti di vista sono anche lo spunto per ribadire l’incomunicabilità a cui sono giunte le due parti. B. affronta la situazione senza essere pienamente consapevole di quanto stia accadendo, il suo aiuto arriva come un dovere morale a cui si sottrarrebbe volentieri, una morale in superficie. I turisti affollano Berlino ovest incuriositi dal muro, a guardare quelli rimasti dall’altra parte come da lontano, come allo zoo o al circo. I giornali chiedono foto d’azione, desiderano creare una narrazione cinematografica, una spettacolarizzazione a cui non interessa soffermarsi.

E Johnson, negli ultimi capitoli, asseconda questa corsa all’azione. Il libro, ad un certo punto, diventa praticamente la storia di una fuga, con tutta l’organizzazione clandestina preparatoria. Il ritmo sale e si viene trascinati vertiginosamente verso il finale, soprattutto considerando la riflessività di quanto precede. Cerchiamo sempre di intenderci, niente di funambolico, però il cambio di passo è evidente, gli stessi pensieri dei protagonisti accelerano nella prossimità dell’evento cruciale.

La conclusione poi mostra ulteriormente quanta incomunicabilità si è creata tra le due parti, quanta distanza è stata scavata da due visioni miopi. Le paure e le speranze di B. e D. sono differenti, così differenti da renderli sostanzialmente estranei, anzi peggio, estranei con dei ricordi in comune. Johnson, come sempre, trova nei dettagli lo spunto per aprire alla riflessione, sonda i personaggi mentre si muovono nel mondo e il percorso dei loro pensieri si scioglie nella storia che facendosi decide i destini.

Non la migliore prova di Johnson, ma pur sempre un libro con una forza straordinaria, probabilmente il più adatto per avvicinare lo scrittore.

Uwe Johnson- Due punti di vistaFeltrinelli
Traduzione: Vittoria Ruberl

Voto - 86%

86%

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

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