Sono andata a vedere uno spettacolo di danza contemporanea al Teatro degli Arcimboldi di Milano. Shen Wei è un coreografo, ma anche pittore e scenografo, e artista di due mondi: cinese di nascita, americano d’adozione, imprime nel suo lavoro questa commistione tra Oriente e Occidente
Avrei potuto raccontarvi di questo particolare spettacolo, ammetto per “palati” un po’ fini, per un occhio un minimo avvezzo alla danza. Avrei potuto dirvi di come i due lavori, Collective Measures e Folding, siano un bel mix tra danza contemporanea, video proiezioni e pittura, contornati da una scenografia, musica e costumi essenziali, per non dire scarni, quasi esistenziali. Avrei potuto descrivervi i corpi di questi danzatori, così atletici e definiti, pur nella loro diversità e non appartenenza ai classici canoni della danza. Avrei potuto parlarvi di quel passaggio molto intenso, in cui una ballerina con dei movimenti sinuosi e ripetuti, si è colorata il corpo di tempera, per poi mostrare al pubblico il dipinto che il suo stesso danzare aveva riprodotto su una tela. Avrei potuto parlarvi di quei corpi che si incontrano per non incontrarsi mai davvero. Si sfiorano, si accarezzano, si toccano, a rappresentare la solitudine dell’uomo moderno che sembra non entrare in vero contatto mai con nessuno. Avrei potuto descrivervi quel sottile schermo che divideva in due il corpo di ballo, in un gioco di prospettive, specchi e richiami, che poneva l’accento su ciò che è vero e ciò che è riflesso, cosa è reale e cosa è proiettato, e dove sta il confine tra i due mondi. Avrei potuto descrivervi quell’immagine finale in cui tanti corpi vanno a formarne uno unico, quasi a dire che in fondo allora no, l’uomo non è solo, ma è parte di un tutto. Tanti a formare uno, quasi ad indicare che in fondo siamo tutti simili e un po’ uguali, in un passo leggero di danza che sembrava un quadro di Boccioni vivente.
Avrei potuto raccontarvi tutto ciò… ma la vera scoperta di questo spettacolo è stata sulle aspettative e le curiose ricadute che esse hanno su di noi. Aspettative per niente dettate o attese e deluse dalla performance. Aspettative non danzerecce, ma mangerecce, nello specifico con protagonista un risotto alla milanese! Eh già perché per uno strano gioco del destino la mia accompagnatrice, cioè mia mamma, era convinta, certa e assolutamente sicura che lo spettacolo durasse solo quaranta minuti. E quindi il programma era presto fatto: teatro, poi una saporita cena milanese alla storica Trattoria Arlati, tavolo prenotato per le 22. Curioso in effetti uno spettacolo di danza che dura poco più di mezz’ora, ma si sa: so’ strani questi coreografi cinesi… Interessante quindi vedere come eravamo pronte e proiettate verso la cena al termine di quella che abbiamo scoperto solo dopo essere la prima parte dello spettacolo. In effetti gli applausi sono brevi e poco convinti. Si accendono le luci, qualcuno si infila il cappotto… finché non realizziamo che si tratta solo di una pausa tra primo e secondo atto.
Ma strani scherzi fa la mente: è proprio vero che quando una persona si aspetta che accada una cosa, tutto il suo corpo, la sua mente, il suo sentire sembrano proiettati verso quella cosa lì, verso quel percorso conosciuto, verso quel finale noto. Ed è così che succede che guardi uno spettacolo di danza di un coreografo cino-americano e sogni una luculliana cena in salsa meneghina…
Per dovere di cronaca quella seconda parte dello spettacolo non l’ho persa, sono rimasta seduta in poltrona fino alla fine. La prenotazione in trattoria, quella sì, l’ho dovuta disdire. Il risotto alla milanese, questa volta, ha dovuto aspettare!
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