Francesco De Gregori, paura e delirio a Milano – Vivavoce Tour – Forum di Assago

Recensione Vivavoce Tour, Forum di Assago – Giusto per capirci: un concerto di De Gregori è per me un rito. Ormai ho perso il conto di quelli a cui ho assistito: dai tempi, già da tempo troppo lontani, delle superiori fino a ieri. Nel corso degli anni ce ne sono stati alcuni che mi sono piaciuti di più e altri di meno, quelli dalla lacrima non trattenuta, quelli in cui reggersi in piedi già era un’impresa, in teatro, in palazzetti più o meno grandi, in luoghi aperti: vabbè dai, De Gregori e i suoi concerti mi hanno accompagnato.

D’altronde continua a sfornare dischi ed è spesso in tour.
Date le premesse, mi sento di poter dire, senza temere che la mia fede possa essere messa in discussione, che il concerto di ieri sera è stato tra i meno riusciti a cui ho assistito. Parere personale che non mi impedirà di tornare a sentirlo, anzi: sarà mica con questo che si può concludere la mia storia live con De Gregori. E poi, per il contesto e i fatti associati, mi ci sono comunque divertito.
Descriverò la serata procedendo per annotazioni sconclusionate, non riesco proprio a dare un ordine al discorso.

– Eravamo un gruppo di dieci persone tutte insieme, più altre conoscenze sparse. Molti elementi di EsteticaMente, direi quasi tutti; oltre a me e ninja: dolcedisale, rossoperò, SpityBoy, Moscardo sotto il palco e, mi dicono, Elisa da qualche parte in tribuna. Tra gli altri menziono il mio classico sodale di concerti e una degregoriana di ferro

– Quando ci sono molte persone vi invito caldamente a distribuire i biglietti prima del giorno del concerto. Mi sono ritrovato, insieme ad altri due, ad attendere fuori dal Forum chi ancora non era arrivato (donne e, se ci fossero stati, bambini hanno avuto la precedenza d’ingresso), perdendo così un paio di canzoni, entrando sulle note de Il panorama di Betlemme

Forum bello pieno, non credo tutto esaurito ma quasi

– ninja, neofita, ha notato immediatamente il carisma del rosso barbuto

– Dove eravamo noi, a metà parterre, si sentiva male. La voce, nel momento in cui suonavano più strumenti, latitava. Di contro il basso la faceva da padrone: chi è stato in bagno ha raccontato di aver urinato al ritmo del basso

– De Gregori ha un repertorio vastissimo e gli piace proporre i pezzi in vesti nuove. Ci sta, anzi è una cosa che mi piace, giusto non fossilizzarsi. Come sempre, ha percorso un po’ tutti gli anni della lunga carriera e la scelta dei brani non mi è affatto dispiaciuta. Ci sono stati gli immancabili (La donna cannone, Titanic, Generale, Buonanotte fiorellino, Rimmel, Viva l’Italia), le sue fisse (Pezzi, Il panorama di Betlemme) e poi ha pescato nel mare alimentato dal fiume della sua creatività

– Al contrario gli arrangiamenti, a questo giro, non mi hanno convinto per nulla. Non sono uno di quelli che si lamenta perché non riesce a cantare una canzone troppo modificata dal vivo, per esempio la veste con cui presentava qualche anno fa Cercando un altro Egitto, un’altra canzone rispetto all’originale, mi ha entusiasmato. Ieri ho ascoltato per la prima volta dal vivo La ragazza e la miniera, pezzo straordinario, ma che non sono riuscito a gustarmi. La degregoriana di ferro, invece, non conviene con me, ha anzi apprezzato gli arrangiamenti proposti: che si scriva il suo pezzo

– Ad un certo punto è apparso sul palco Ligabue. Faccio una premessa. A me Ligabue è piaciuto, fino a Buon compleanno Elvis per intenderci, e non riesco a provare antipatia per un cantante che mi ha accompagnato per anni. Mi definirei un non prevenuto. Seconda e ultima premessa: De Gregori può invitare chi vuole.
Apparso Ligabue il pubblico si è diviso tra quelli entusiasti e gli aperti contestatori. Non farò nomi, ma qualcuno tra noi ha fischiato con veemenza, fino quasi a litigare con quello davanti. Sotto il palco mi sono state riportate reazioni di una certa forza: gente di spalle, qualcuno che ha gridato “Ligabue sei invecchiato” (manco fossero andati a vedere Fedez, che per altro davano tra il pubblico, e già che c’era poteva tirare su anche lui; o forse intendevano invecchiato dentro, non sai più partorire un pezzo buono), uno si è fatto prendere sulle spalle e, per un brano intero, ha mostrato non uno ma due dita medie a Luciano. Qualcuno nell’orecchio mi ha chiesto “perché ci stanno facendo questo?”.
A fine concerto, all’interno del nostro stesso gruppo è partita una polemica sul fatto di poter fischiare o meno durante l’esibizione, con affermazioni che andavano da “Non è educato, disturbi quelli che vogliono ascoltare” a “È un mio diritto”.
La strana coppia si è esibita in Non dovete badare al cantante (che potete vedere nel video parecchio “amatoriale” postato qui sotto) e Il muro del suono di Ligabue, Alice e Atlantide di De Gregori. Personalmente l’ho trovato in parte divertente. La contestazione furiosa sa essere esilarante: gli occhi del mio amico fischiatore erano disperati. Poi ero piegato nel sentire De Gregori cimentarsi nelle canzoni di Ligabue, non saprei dire bene perché, ma non riuscivo a smettere di sghignazzare di gusto. Meno divertente invece Ligabue che canta De Gregori. Passi per Alice, dato che il danno è stato ormai inciso, ma cazzo! Atlantide no, questo non lo posso accettare.
Come avrete notato, il mio approccio al fatto è morbido. Però, dati i molti giovani presenti tra il pubblico entusiasti dell’apparizione, ci tengo a chiarire un punto. Ligabue è lontano anni luce da De Gregori, è proprio in un girone diverso. In particolare sottolineiamo i testi: parlano due lingue differenti. No, perché lì mi è venuto il forte dubbio che quelli contenti potessero assimilare Ligabue all’insieme di De Gregori, come entrambi grandissimi scrittori di versi. Dunque chiariamo: Ligabue si barcamena cercando di scrivere meglio che può, De Gregori dipinge con la penna

– Sempre la degregoriana si è lanciata nella sua, ormai classica, invettiva contro Guarda che non sono io: “ma che vuol dire? Uno ti incontra per strada e non può nemmeno parlarti? Ma quanto te la meni”. Invettiva che ci ha tenuto a proseguire anche fuori dal palazzetto, riproponendola a chi non aveva assistito al primo round

– Come sempre, il pubblico era modello giochi in scatola: dai 5 ai 99 anni. L’immagine della serata: una madre e una figlia che ascoltavano una di fianco all’altra, la prima scatenata in balli che suggerivano un passato malandrino e un presente non ancora appassito, l’altra pronta al selfie come da catalogo. Però belle, riassumevano uno dei sensi che riescono ad avere alcuni cantautori

Ultimi due pezzi, il bis del bis, suonati a luci accese, modello fine sagra con i rifiuti in vista e le persone provate ma contente. No dai, bella atmosfera, insolita

Qui sotto propongo un album sottovalutato ma che, secondo me, merita.

Felicità - 70%
Tristezza - 70%
Appagamento - 70%
Profondità - 97%
Indice metatemporale - 60%

73%

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Su Giuseppe Ponissa

Aga la maga; racchetta come bacchetta magica a magheggiare armonie irriverenti; manina delicata e nobile; sontuose invenzioni su letto di intelligenza tattica; volée amabilmente retrò; tessitrice ipnotica; smorzate naturali come carezze; sofferenza sui teloni; luogo della mente; ninfa incerottata; fantasia di ricami; lettera scritta a mano; ultima sigaretta della serata.

2 Commenti

  1. L’unica, vera e sacrosanta verità è questa: non ti sei divertito a pieno perché eri (forzatamente) sobrio! 😉

    Hai dimenticato di dire la cosa più importante: Francè sul palco era chiaramente a sua agio, divertito, in simbiosi (per quanto può esserlo lui) col pubblico e felice di quello che stava vivendo-trasmettendo-ricevendo, che con la vecchiaia si stia ammorbidendo?.

    E poi in fondo conta solo aver goduto di “Pezzi di sorriso, pezzi di canzone” e aver aggiunto alla propria esperienza “Pezzi di vita che diventano viaggio”.

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