Salvini condanna i sindaci che vogliono aprire i porti. Gli stessi sindaci, per inciso, che lo stesso Salvini ha cercato di aizzare esortandoli a boicottare i matrimoni gay. In entrambi i casi si è urlato alla disobbedienza civile, di rivolta giusta. Ma qualcuno si è mai chiesto che cos’è davvero la disobbedienza civile? Quali sono i suoi reali confini? Quando, in definitiva, disobbedire è giusto?
In Italia, sui social dove altrimenti, sta avendo fortune alterne la disobbedienza civile. Alterne in base al colore politico, all’embolo che fa partire la vena da tastiera e quella tensione alla giustizia costruita in casa che tanto piace. Tanto per ancorare la questione all’attualità, cosa che ci fa impazzire solo fino ad un certo punto viste le vicende attuali, i sindaci che vogliono aprire i porti sono o no legittimati nel loro gesto in base alle proprie convinzioni sull’argomento, non sulla base di una concezione più ampia: per esempio chi sostiene che non hanno diritto ad aprire i porti per iniziativa personale, sosteneva che i sindaci dovessero opporsi alla celebrazione di unioni tra persone dello stesso sesso, quindi praticare quella disobbedienza che non viene riconosciuta valida oggi.
Chiariamo subito una questione. Siamo convinti che le leggi vadano rispettate, perché una società civile si basa sul rispetto delle regole che si è data. Se esistono leggi che non vengono ritenute giuste, il modo migliore per procedere è cercare di farle cambiare: attraverso le elezioni, organizzando campagne, unendosi per fare pressioni, insomma dall’interno del sistema. Però ci sono casi in cui forzare la mano si rende necessario, o è il modo più efficace e rapido per ottenere risultati. I motivi per forzare la mano possono essere diversi, il punto fondamentale però è che noi riteniamo lecito praticare la disobbedienza civile, cioè rifiutarsi di obbedire ad una legge in modo non violento. Ci pare lecito perché il cittadino non è la pecora di un gregge, è parte attiva di un organizzazione che ha bisogno di tutti gli ingranaggi per funzionare e non decidere, spesso, significa decidere comunque.
Ora, al di là di faziosità che fa sbraitare ad orecchie chiuse, vorremmo proporre una discriminante per considerare lecito o no un atto di disobbedienza civile. Perché è necessario porre un limite, altrimenti non si può più parlare di disobbedienza civile ma di caos, o rivoluzione. Si tratta di una nostra proposta e quindi a noi piace molto, ma crediamo che in generale non comporterebbe nessun problema a nessuno venendo adottata.
La disobbedienza civile è lecita nel momento in cui è praticata per ottenere, estendere o reintrodurre diritti (umani e civili); la disobbedienza civile non è lecita nel momento in cui è praticata per negare, togliere o contrastare diritti (umani e civili). Fermo restando che il diritto di qualcuno è valido fino a quando non lede quello di qualcun altro.
Vediamo dunque qualche esempio, pochi per non dilungarci eccessivamente, anzi limitiamoci ai due di cui sopra. Rifiutarsi di celebrare un’unione prevista dalle leggi toglie diritti civili che non limitano in nulla i diritti di altri. Accogliere persone in difficoltà dal mare concede diritti umani senza toglierne a nessuno. Chiaro no?