La scelta di Ducati e di Dall’Igna di ingaggiare Casey Stoner come collaudatore della Desmosedici ha acceso non poche discussioni tra gli appassionati e gli addetti ai lavori. Casey si rivelerà un valore aggiunto o, nel fragile box Ducati, avrà lo stesso impatto di un elefante ubriaco in una cristalleria?
Allora, diciamolo subito, Casey Stoner è uno dei pochi veri fenomeni del motociclismo moderno. Ha vinto meno di quanto avrebbe meritato a causa di una maturazione leggermente più lunga (le sue cadute in 250 sono storiche), perché ha dedicato i suoi anni migliori a quella che era (e che ancora è) la cenerentola del Motomondiale e perché ha deciso di terminare una carriera stratosferica a soli 27 anni di età. Non è un’eresia affermare che se Stoner avesse preso decisioni diverse nella sua carriera, molto probabilmente avrebbe triplicato il numero di mondiali in bacheca. Non è matematico, ma quasi.
Per questi motivi, il suo ritorno in pista dopo qualche anno passato in pensione a pescare cefali e a spupazzarsi moglie e figlia in angolo sperduto dell’Australia, ha giocoforza solleticato il palato dei tifosi.
Perché è stato lui il primo (e non Marquez) a spazzolare il posteriore in curva in quella maniera che oserei definire orgasmica, perché appena (ri)presa in mano la Desmosedici ha fatto subito capire che la ruggine non è certo roba che si forma in Australia, ma soprattutto perché Stoner, o meglio, il suo personaggio, ha sempre fatto discutere.
C’è chi lo odia perché antipatico e c’è chi lo ama perché non ha peli sulla lingua. C’è chi lo detesta perché ha sputato nel piatto dove ha sempre mangiato e chi invece lo adora proprio perché non sa cosa sia l’ipocrisia. C’è chi lo odia perché era la nemesi di Rossi e chi lo ama perché ha realizzato il sogno di portare una moto pressoché artigianale (se paragonata alle giapponesi) sul tetto del mondo. C’è chi lo odia semplicemente perché è Stoner, e c’è, invece, chi lo ama proprio per questo. Amato o odiato, questo il suo destino, esattamente come quello di Valentino e pochi, pochissimi altri. Una prerogativa dei grandissimi.
Fatta la premessa che dovrebbe chiarire il mio punto di vista sul valore del pilota, il suo ritorno resta un evento che se da un lato attizza non poco gli appassionati da bar, dall’altro rischia di aprire ennemila questioni in casa Ducati. È stato davvero giusto ingaggiarlo? Dall’Igna ha ponderato bene oppure ha sottovalutato l’impatto che può avere un peso massimo come Casey Stoner sulla psicologia fragile di Andrea Dovizioso e sui risultati di un pilota che deve ancora dimostrare molto come Iannone?
In altre parole, il miglior tempo Ducati ottenuto dell’australiano a Sepang può essere considerato prezioso per via del feedback offerto in ottica di sviluppo della moto oppure deleterio come un gancio al mento all’equilibrio di un box che deve ancora dimostrare tanto?
Cos’è Stoner per Ducati adesso? Un uomo immagine? Un collaudatore con licenza di uccidere? Una riserva? Un investimento per il futuro (tra le varie voci gira anche quella che lo vuole al via della stagione 2017)? Un valore aggiunto oppure un peso?
Ovviamente non è possibile poter predire ciò che sarà il box Ducati da qui a 3-4 mesi. Quel che è certo è che a livello prettamente teorico la sua presenza è un all-in di quelli rischiosi. Perché se Stoner continuerà a fare lo Stoner anche a Sepang2, e cioè tornerà a randellare i suoi compagni di marca, gli scenari possibili potrebbero essere da un lato interessanti, dall’altro rischiosissimi.
Con che spirito i due ufficiali affronteranno le gare e tutte le difficoltà intrinseche di chi non guida la moto più forte del lotto?
Con che faccia Ducati lascerà in panchina il pilota più veloce?
Per non parlare dello sviluppo della D16: se Stoner continuerà ad andare forte, gli ingegneri si fermeranno come successo anni fa, quando la Ducati era una moto buona solo per il manico dell’australiano?
E poi, alla fine di tutto, non dimentichiamolo, c’è lui, Stoner.
L’australiano continua a ripetere che non tornerà e che non ha bisogno più di un certo tipo di stimoli. Ma Stoner è un pilota, non un collaudatore. Ha dentro quella cosa bellissima che rende un uomo normale un campione, e cioè la voglia di mettersi in gioco e di vincere. Sempre. E se i risultati continueranno ad arrivare, ne sono certo, qualche comparsata al buon Casey non basterà più.
E poi chi avrà il coraggio di dirgli di no?