Arte – Nel pieno dell’estate, mentre molti di voi si trovano in paradisi tropicali oppure li sognano ammollo nelle assolate spiagge italiane, il Bigino dell’arte vi racconta la storia di un artista che in quei paradisi ha deciso di trasferirsi: Paul Gauguin.
Gauguin è uno dei tipici artisti da Bigino: un artista che in molti conoscerete ma che, potrei scommetterci, in molti faticate a capire perché è così osannato. In effetti di fronte a un’opera d’arte le reazioni sono diverse e passano da “Wow”(vedi Leonardo) al “potevo farlo anche io”(ne parleremo in futuro). In mezzo ci sono una serie di artisti che invece ci lasciano perplessi, quelli dei puntini di sospensione “…” anche detti del “bello, però”. Di solito quest’effetto è quello che più mi diverte di fronte all’arte, quel qualcosa che non capiamo ma che ci fa giocare con la nostra mente (non è questo d’altronde lo scopo dell’arte?). Oggi quindi voglio provare a giocare con voi a capire cos’è che, forse, dovrebbe rendere Gauguin uno degli artisti da “wow”.
La stessa vita di Paul pare essere un gioco da tavolo con tanto di tabellone e pedine, ecco immaginiamoci così la sua vita.
Iniziamo dalla pedina: sceglierei uno dei suoi vasi, anche perché più “pedina” di un quadro, Gauguin diceva di amare molto cuocerli perché per lui era come cuocere un’aragosta: li metti in forno di un colore e ne escono di un altro. Similitudine curiosa e vera.
Passiamo al tabellone, sceglierei una mappa geografica perché la vita dell’artista è un continuo viaggio da nord a sud, mai fermo e sempre in partenza per nuove mete. Paul Gauguin nasce a Parigi nel 1848 e come si conviene alla casella iniziale di ogni tabellone (e ogni nascita) non ha uno scopo preciso se non quello di dare il via al gioco. Il cognome Gauguin significa “coltivatore di noci” ed è quello che la sua famiglia, tranne suo padre, ha sempre fatto. Il divertimento inizia però dalla casella successiva, il Perù. Questo è il paese natale della madre e qui vive fino all’età di 7 anni. In Perù il piccolo coltivatore di noci vive una vita agiata, sostenuta dai parenti della madre. Nella casella “probabilità” il nostro Gauguin pesca bene perché il “lontano parente” che tutti agognano trovare, arriva ed è pure il presidente del Perù. È qui che Paul Gauguin conosce la tradizione popolare e inizia a esserne affascinato. Tiriamo ancora i dadi ed ecco gli imprevisti: ritorna in Francia, totalmente estraneo alle mode locali e senza parlare una parola di francese, diventa un escluso (in prigione! anche se solo ideale).
Sulla nostra mappa un nuovo percorso si disegna: a 17 anni frustrato dalla sua vita, decide di imbarcarsi su una nave e dare davvero il via al gioco, a Rio de Janeiro, in Brasile. Immaginate un diciassettenne, solo, con estro artistico, a Rio de Janeiro: non c’è altro da aggiungere. Tiriamo i dadi e lo ritroviamo a 23 anni in Europa, un lavoro in borsa, sposato e con molti figli in arrivo (ne ho contati almeno 8 dichiarati) questo si che è un bel gioco di ruolo. Ma solo per poco: giriamo ancora la ruota e Gauguin lascia moglie e figli alla volta, prima, di nuove ispirazioni come il periodo trascorso con l’odiato/amato amico Vincent Van Gogh e, poi, di terre lontane: Tahiti e la Polinesia sono la nostra prossima tappa. Qui Gauguin si ricostruisce una o più vite con donne diverse. Si dedica solo alla sua arte e ai piaceri della vita. Qui Gauguin diventa Gauguin. Giocando ha imparato a dipingere e ora lo sa fare molto bene come ogni grande artista, anche se noi lo conosciamo con un altro tratto, apparentemente più semplice (non fingete, in molti avrete pensato che Gauguin fa bei quadri, interessanti magari per il significato ma non difficili nella tecnica; sappiate che è una sua scelta non un limite). Fa ancora qualche mossa, pesca alcuni imprevisti: tanti altri viaggi, qualche altra moglie, qualche altro figlio e molte altre malattie, la sifilide fra tutte. Il suo gioco finisce l’8 maggio 1903 alle isole Marchesi.
Scopo del gioco: difficile dirlo. Di certo non è un gioco di gruppo, Paul Gauguin ha giocato sempre da solo. Non è mai stato fisicamente solo, se non alla fine della sua vita, ma non si è mai fatto avvicinare da nessuno: Van Gogh lo ha cercato per molto tempo e alla fine, esasperato, si è tagliato pure un lembo di orecchio per lui; le sue donne gli sono state accanto ciascuna per molti anni, con pazienza, sono diventate le protagoniste che vediamo nelle sue tele ma appena hanno potuto sono scappate lontano; la critica non aveva un giudizio unanime, di certo era già Gauguin quando era in vita ma in molti continuavano a ritenerlo solo un selvaggio venuto dal Perù. Chiamò il suo cane Pago (che oltre a essere il suo acronimo, ha anche il significato di pene) solo per richiamarlo ad alta voce e infastidire i suoi vicini cattolici. Morì nelle isole Marchesi, il posto al mondo più lontano da qualsiasi continente, ma non vide nulla di quel luogo perché quando ci arrivò le sue gambe erano già troppo marce per la malattia e non riusciva più a camminare.
Lo scopo forse sta proprio qui, l’arte di Gauguin è un’arte intensa, calda e passionale. È una ricerca continua di ordine, come quello delle linee che compongono le sue opere, ma non è mai raggiunto, impedito dai colori forti e i toni accesi che spezzano qualunque armonia. È un’arte che racconta di mondi lontani e invoca il ritorno al contenuto, alle cose “reali” della vita. È un’arte che contrasta con i benpensanti, mettendo in evidenza tutte le contraddizioni di questa supposta civiltà, mostrando donne esotiche costrette in abiti occidentali. Credo sia un’arte che se la guardiamo con un po’ più di attenzione parla a molti di noi, anzi parla ancora di quel “noi” in cui ancora vogliono rinchiuderci.
Per approfondimenti sull’artista clicca il nome qui accanto Paul Gauguin