Bisogna fare un passo in dietro per poter parlare del disco che abbiamo scelto settimana di presentarvi, ovvero Sanacore, terza prova della band napoletana Almamegretta, uscita esattamente 25 anni or sono. Ma che senso ha parlare di un disco che ha 25 anni e viene ripubblicato? Di cosa stiamo parlando esattamente?
Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro appunto e tornare a Napoli nel 1995, anzi 1994. Quattro ragazzi dopo diverse esperienze e la classica gavetta da band underground, riescono a raggiungere un po’ di visibilità nazionale. L’ambiente in cui si muovono è quello del reggae, dello ska, c’è molta Giamaica, ma c’è anche qualcosa di più. A indirizzare gli Almamegretta verso altri orizzonti musicali arrivano le tastiere, i sinth, le influenze melodiche di una Giamaica passata attraverso i sobborghi di Londra.
Nel 1993 arriva Animamigrante, album che apre le porte agli Almamegretta dei grandi palchi autoriali italiani, Sanacore vincerà il tenco del 1995, si sente la qualità sotto la proposta innovativa. Ma è proprio nel 1994 che succede qualcosa che cambierà per sempre la direzione della band napoletana, e questo qualcosa succede proprio mentre la band é pronta a sbarcare a Procida per comporre e registrare il loro secondo album, Sanacore appunto.
Qualcuno (Ben Young) fa arrivare un brano degli Almamegretta (Animamigrante) ai Massive Attack che si innamorano di quel suono e chiedono alla band napoletana di remixare un loro brano, cioè non proprio un loro brano a caso: Karmakoma.
Da questo incontro nasce il successivo con Adrian Sherwood produttore di Depeche Mode, Primal Scream e molti altri che decripterà di produrre l’intero album degli Almamegretta in via di composizione: Sanacore.
Con queste premesse possiamo metterci ad ascoltare Sanacore 25 anni dopo sicuri di trovare un album che ancora oggi conserva spunti e intuizioni per una scena musicale internazionale. Già, perché Almamegretta è stato soprattutto questo, un fenomeno dal profilo internazionale che proprio e che oggi chiameremo glocalismo con partenza da Napoli per contaminare e influenzare l’Europa e il mondo. Parliamo di una scena italiana, ma ancora più in particolare napoletana che davvero era un faro per la musica internazionale e gli esempi sarebbero tanti: 99 Posse, 24 Grana, Planet Funk e tanti altri oltre ovviamente agli Almamegretta.
Ma Sanacore non aveva solo nella scelta musicale una forza incontenibile, anche i testi scritti da Raiz erano pura sfida, pura innovazione. Prima di tutto per la scelta della lingua napoletana, fatta non per campanilismo, non settarismo, ma per segnare l’incontro dentro casa di mille facce e culture. La scelta di cantare in napoletano e usare scale e stilemi tipici dell’oriente è ancora oggi un mix che mette i brividi.
E poi c’erano i testi, tutti accattivanti e interessanti, ma qualcuno ha segnato un nuovo modo di scrivere di scrivere di razzismo e indennità, di solitudine e migrazione, di bellezza e gioia.
“O sciure cchiù felice è sciure senza radice” potremmo definirla più che una strofa fortunata una vera e propria sintesi di un’epoca in cui si sentiva la migrazione come arricchimento, come incontro, come arricchimento. Un’epoca di speranza e fiducia, una canzone che mette i brividi riascoltata oggi. Pe’ dint’ ‘e viche addò nun trase ‘o mare con il suo ritmo strascicato che sembra la colonna sonora perfetta di un attraversamento del deserto, Maje tra ipnosi e marcia e poi Sanacore che da il nome alla title track, un piccolo capolavoro nel capolavoro. Sanacore non è esattamente una canzone, é più simile ad un presepe natalizio in cui ogni voce porta un personaggio, un colore, un villaggio di anime che si attiva ogni volta che si ascolta il pezzo.
Inutile citare ogni brano della track list, ogni canzone conserva una magia e un’atmosfera che davvero fa venire i brividi ancora oggi. Non si può che chiudere questo pezzo che con il titolo di una delle canzone che spicca anche in mezzo a così tanta bellezza: “nun te scurda’ nun te scurda’/ nun t’ ‘o scurda’ pecchè si no che campe a fa’/ nun te scurda’ ‘e te maje”.