La preparazione di una maratona è qualche cosa che va al di là della semplice corsetta. Io e il mio atleta Agafan ce ne stiamo rendendo conto ogni giorno di più. Perché la maratona è oggettivamente una gara a sé, non ha molti paragoni nello sport.
Chi la corre dice che è molto più affascinante di qualsiasi altra distanza, ma soprattutto molto, ma molto più nobile di tutte quelle corse che vanno di moda in questi ultimi anni, gare folli che superano di gran lunga la distanza dei 42 km, senza però riuscire ad avere nemmeno un grammo del magnetismo capace di suscitare la maratona.
Chi la corre la ama, perché la maratona è la metafora dell’esistenza e il traguardo il punto d’arrivo per arrivare al quale è necessario sfidare se stessi e affrontare le proprie paure di petto. C’è chi dice che correre è autoalimentarsi, imparare a resistere, dotarsi di un’arma vincente.
C’è chi dice che allenarsi per una maratona non è un semplice condizionamento del corpo ma è psicologia, è filosofia, è matematica, è ignoto. Mentre proviamo a migliorare, ad ogni allenamento gli ostacoli scompaiono, passo dopo passo, chilometro dopo chilometro. Il corpo si abitua alla costanza, alla sostanza, a resistere allo sforzo.
C’è chi dice che chi corre lo fa perché ha un conto in sospeso con dio. Qualcun altro, invece, afferma di correre perché percepisce un destino e, intrinseca ad esso, la possibilità di modellarlo.
C’è chi dice che correre vuol dire anche raggiungere la piena consapevolezza dei propri desideri, perché nulla come correre ti obbliga a scavare dentro dentro al proprio Io, generalmente castrato sotto cumuli di divieti e privazioni.
Di certo, tutti sono d’accordo che correre significa scoprire. Perché non c’è nulla di più esperienziale del sentire il proprio respiro, il proprio battito del cuore, il “tap” cadenzato della suola con l’asfalto e, a fare da collante a tutto ciò, la sensazione di essere il regista di una danza perfetta, il macchinista di un organismo bene a punto.
Nel nostro piccolo, io e Agafan, abbiamo provato e stiamo provando tutto questo. Forse non in maniera così definita, ma lo stiamo provando. Forse correre non ci ha chiarito il nostro destino e men che meno ci ha donato la convinzione di modellarlo. Però stiamo sperimentando quelle che sembrano essere psicologia, filosofia, matematica e certamente una gran dose di ignoto. Possiamo entrambi giurare, magari alla fine dell’ultima ripetuta, di aver visto il nostro Io e il nostro Es ballare una danza dionisiaca e, sullo sfondo, un Super-Io vestito da crocerossina che ci ripete ossessivamente che abbiamo quarant’anni. Ma soprattutto abbiamo scoperto il significato più profondo del termine ESPERIENZIALE.
Agafan, ad esempio, ha esperito di possedere due capezzoli, io, invece, ho esperito che bersi tre Moretti da 66 la sera prima di un lungo probabilmente non migliora i conti in sospeso con dio.
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