In Undici solitudini di Richard Yates il contrasto tra la retorica del sogno americano e la prosa chirurgica dell’autore, la capacità di racchiudere in particolari intere vite, segna il passo preciso di questi racconti così scarni da raggiungere l’essenzialità. Non ci sono giri di parole, e nemmeno giri di vite, ma giri di vita a vuoto, raccontati nello spazio di uno schizzo che sa prendersi il respiro dell’universalità.
Undici solitudini di Richard Yates
Se fossero solo undici solitudini andrebbe già di lusso, tutto sommato sarebbero sostenibili. Qui si tratta di molte più solitudini, perché le undici del titolo ne incrociano altre che ne richiamano altre ancora, insomma un intersecarsi e sfiorarsi di solitudini che paiono non trovare il fondo. I racconti sì, quelli sono undici: scarni, secchi, prosciugati da orpelli per non distrarre il lettore dal cuore. Si tratta di un libro che si legge agevolmente, così come scivolano via le vite raccontate, ma restano impresse nelle nostre emozioni.
Nessun’orecchia alle pagine, di solito non lo considero un bel segno. In questo caso però è dipeso dall’andamento della scrittura che, senza calcare la mano su un’accentuata espressività, ci fa scivolare pagina dopo pagina nel mondo dei personaggi, fino a tratteggiare un quadro di una umanissima malinconia.
Le diverse vie della solitudine
siamo soli
ma soli non si è mai
soli veramente
in mezzo a tanta gente
Luca Carboni, Faccio i conti con te
Come sa lo stesso Carboni, non solo si è soli in mezzo a tanta gente, proprio la presenza delle persone acuisce la solitudine. Perché i rapporti umani non fanno che sottolineare la solitudine, a volte provano a mascherarla, ma il gioco dura poco, altre non riescono neppure a simulare. Quello che più fa male di questi stralci di vita, capaci di racchiuderne un periodo ben più ampio delle poche pagine dedicate, a volte di contenerla intera, è che lo scavo di una solitudine porta alla luce quella di chi sta attorno al protagonista del racconto. Sono incroci differenti, che presuppongono legami svariati tra le persone, ma il risultato finale è una reiterazione esponenziale ed ineluttabile.
Si tratta di personaggi che cercano invano il proprio posto nel mondo, senza riuscire ad inserirsi in meccanismi i cui ingranaggi sono oliati inevitabilmente dagli altri. Sono ingurgitati ma mai digeriti dalla società in cui vivono, non perché viaggiano in direzione ostinata e contraria, non vanno neppure in contromano: si muovono fianco a fianco alla massa senza però raggiungere una meta, sono spirali di se stessi che si avvitano senza tregua.
Acquista su AmazonIncomunicabilità cronica
Un fattore portante di queste solitudini è l’incomunicabilità tra esseri umani. Ben inteso, i personaggi di questo libro non sono vittime del mondo, l’incapacità di comunicare è una loro prerogativa. Anche perché, in primo luogo, non riescono a comunicare con se stessi, con i propri desideri e le dinamiche che li coinvolgono. Una spiccata mancanza di realizzazione li conduce dritti verso l’imbuto che non permette loro di aprire gli occhi, li caccia in situazioni senza via di uscita e li inchioda alla mancanza di strumenti utili. Che si dibattano per migliorare le proprie condizioni o che seguano la corrente in cui si sono ritrovati, di certo sono pesci fuor d’acqua che non trovano sponde attorno a loro, e quando le trovano non sanno coglierle.
Quel che acuisce il dolore è che spesso sono proprio le persone a loro più vicine quelle con cui non riescono a comunicare, a volte quelle che stanno tra loro e l’obiettivo, a volte quelle che vorrebbero aiutarli. Non si tratta di incomunicabilità dettata da cattiveria o mancanza d’impegno, bensì di un’incapacità cronica, esistenziale.
Il sogno americano
I racconti sono ambientati all’inizio della seconda metà del ‘900, quando il sogno americano era apparecchiato alla disponibilità delle intenzioni. Eppure i protagonisti non sanno afferrarlo, non sono in grado di coglierne l’essenza. Questi personaggi sono l’altro lato del sogno, quelli esclusi, ma non gli emarginati, bensì quelli ad un passo, quelli che dovrebbero esserne inclusi, quelli che ne fanno parte ma non come vorrebbero, non come promesso. Sono goffi nel loro agitarsi all’interno degli schemi nei modi sbagliati.
Il contrasto tra la retorica del sogno americano e la prosa chirurgica dell’autore, la capacità di racchiudere in particolari intere vite, segna il passo preciso di questi racconti così scarni da raggiungere l’essenzialità. Non ci sono giri di parole, e nemmeno giri di vite, ma giri di vita a vuoto, raccontati nello spazio di uno schizzo che sa prendersi il respiro dell’universalità.
Richard Yates – Undici solitudini – Minimum Fax
Traduzione Maria Lucioni