Recensione – Il bar delle grandi speranze, J.R. Moehringer

Dall’autore di Open, la biografia di Agassi, un romanzo che trasuda realtà in ogni pagina e che sembra un film su carta. J. R. Moehringer scrive un libro “da maschi”, che parla di uomini e che ha per protagonisti quasi unicamente personaggi di sesso maschile, ma che è piaciuto, e parecchio, anche ad una donna dal cuore tenero…

Il bar delle grandi speranze: un libro per maschi che piace anche alle donne

Il titolo ce lo dice subito qual è il protagonista indiscusso di questo romanzo, Il bar delle grandi speranze. Un luogo che non ha bisogno di presentazioni, come non ha bisogno di un nome. Si chiamerebbe Dickens, poi diventa Publicans questo pub di Manhasset, sobborgo affacciato sulla costa di Long Island, stato di New York, ma che pagina dopo pagina diventa il luogo per antonomasia, qualcosa di più che “Il Bar”. È “Il Posto”. Luogo che è co-protagonista insieme a JR, giovane ragazzo che porta il nome dell’autore che descrive le sue vicende in prima persona. Un racconto che sa tanto di autobiografia o che per lo meno ha un sapore molto accentuato di verità.

Romanzo di formazione, un giovane Holden che cresce non a Central Park avendo il lusso di domandarsi dove vanno a finire le papere quando il lago ghiaccia, ma che diventa adulto a suon di gin tonic, scotch e birre, al di qua della città, com’è lui, lontano dalle Mille luci di New York, ai margini del mondo “giusto” e per bene.

Figlio senza padre, cresce con una madre che si fa in quattro per mantenerlo, a casa del nonno con svariati zii e innumerevoli cugini, dove la privacy non è contemplata tra quelle quattro mura scrostate. Il padre è “La voce”, un suono che ascolta per radio, un deejay che non l’ha mai riconosciuto davvero e che rimane sullo sfondo di tutta la storia. L’abbandono paterno porta JR a cercare figure maschili di riferimento non a casa, dove il nonno burbero e rozzo poco ha da insegnargli, ma proprio in strada, a centoquarantadue passi dall’appartamento, in un luogo magico, anzi mitico. Il Bar.

Le pagine scorrono in modo veloce e piacevole, tra capitoli che sono tutti sottolineati, sarebbero un’unica citazione. Uno stile diretto, pulito, senza fronzoli né accessori, che rispecchia proprio le chiacchiere da bar. Pagine che trasudano un amore spassionato e viscerale per questo luogo e per gli uomini che lo popolano. JR (poco importa che sia l’autore o il protagonista del libro) lo descrive come il suo luogo sacro, la caverna più lussuosa in cui rifugiarsi, il luogo in cui la sua mente è più lucida, il suo cuore più puro, in cui sentirsi vicino a Dio o alla verità.

Ci andavamo per ogni nostro bisogno. […] Ci andavamo soprattutto quando avevamo bisogno di essere ritrovati. […] Molto prima di avermi come cliente, il bar mi ha salvato. Mi ha ridato fiducia quand’ero bambino, si è preso cura di me quand’ero adolescente e mi ha accolto quand’ero un giovane uomo.

Le donne hanno le paturnie e vanno a fare Colazione da Tiffany per consolarsi. Gli uomini affogano i propri dispiaceri nell’alcool in un luogo che si percepisce come buio, polveroso, uno scantinato claustrofobico. Eppure accogliente, aperto e illuminato di una luce non reale.

Un luogo che ha regole non scritte tutte sue: la scelta del primo drink per esempio è fondamentale. Zio Charlie era convinto che si è quel che si beve, e classificava la gente in base ai cocktail. […] Zio Charlie stava ignorando almeno una dozzina di clienti assetati per aiutarmi a capire se ero un Gin Tonic JR o uno Sotch e Soda Moehringer.

Un luogo in cui sentirsi al sicuro in mezzo ai tanti uomini che lo popolano, che sono tutti dei Personaggi, ognuno col suo nomignolo e la sua storia. Ognuno con qualcosa da raccontare e da insegnare al giovane JR. Lo zio, nonché barista, Charlie, Bob il poliziotto, Mavaffa (chiamato così per la parolaccia preferita di cui l’uomo fa un uso smodato), Joy D., Puzzolo e l’elenco potrebbe ancora continuare.

Le donne rimangono sullo sfondo, sono quasi inutili mi verrebbe da dire. Fanno parte della formazione di JR, essendo spesso la causa dei suoi dolori e dei suoi turbamenti adolescenziali, il motore del suo rifugiarsi al bar in cerca di consolazione. Solo una donna si distingue da tutte le altre ed è amata e venerata dal protagonista: la mamma. Un rapporto spiegato con una psicologia semplice, quasi elementare, nulla a che vedere con le complesse dinamiche familiari e relazionali descritte ad esempio da Franzen ne Le correzioni (se volete leggerne una recensione, ecco qui). Eppure un rapporto che arriva dritto al cuore.

Un libro che si fa leggere facilmente, si fa amare e sono certa che possa piacere a uomini e donne indistintamente. Un romanzo che è un film non girato. Leggetelo nell’attesa e nella speranza (forse) che lo diventi.

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Se invece vi è venuta voglia di un Gin Tonic…

Il voto della redazione

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Su Elisa

Se si può dire di una cosa non facile nella mia vita è il rapporto con la scrittura… beh, ripensandoci, non è proprio l’unica cosa non facile. Ma d’altronde, se no, che noia sarebbe? A complicare il tutto, da buon Pesci, la costanza non è la mia dote migliore quindi su questo blog mi vedrete e non mi vedrete. Non sono parente di Houdini né tantomeno del divino Otelma, ma solo una giovane donna con la passione del cinema (odio quando mi danno della signora. Per galateo, dicono…). Sembro seria, ma non lo sono. E come potrei esserlo dopo aver scritto una tesi di laurea su Sex and the city?!?

Un commento

  1. Questo libro è stato scritto molto prima di “Open” di Agassi, infatti l’ex tennista dopo aver letto “The Tender Bar” scelse proprio Moehringer come proprio ghostwriter.
    Un romanzo autobiografico davvero splendido!

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