Marco Revelli - Populismo 2.0 ed il vuoto nelle democrazie contemporanee

Marco Revelli – Populismo 2.0 ed il vuoto nelle democrazie contemporanee

In Populismo 2.0, saggio della collana Vele della Einaudi, lo studioso Marco Revelli affronta il tema del populismo in maniera innovativa. Un ibrido tra lo scientifico ed il giornalistico, analizzando gli esiti elettorali più eclatanti degli ultimi anni su scala globale da Trump alla Brexit, passando per la crescita del FN in Francia e l’affermarsi dell’AFD in Germania e, immancabili e pezzo forte del libro, i tre populismi italiani (berlusconiano, grillino e renziano). Un’analisi precisa e concreta su come e perché sono nati e continuano a nascere questi fenomeni detti infantilmente “populisti”, ma che sono l’espressione di un vuoto democratico lasciato dai partiti novecenteschi dopo la caduta del muro di Berlino in Occidente.

Non è un “ismo” come gli altri che abbiamo disseminato nel corso storico della modernità: socialismo, comunismo, liberalismo, fascismo… E con cui ci siamo identificati (per appartenenza) o contro cui abbiamo combattuto (per contrapposizione). È un’entità molto più impalpabile e meno identificabile entro specifici confini e involucri. È uno stato d’animo. Un mood.”

Alle origini del populismo

L’analisi dello studioso parte da lontano, dai populismi nati in America alla fine dell’ottocento con il National People’s Party, considerato dagli esperti the original populists. Ed ancor prima con il settimo Presidente degli Stati Uniti Andrew Jackson, il primo ad avere umili origini e quello che inaugurò the age of common man (1830-1840) considerato il primo populista americano in senso proprio, che pretese per la cerimonia di inaugurazione del primo mandato di “aprire il portico del Campidoglio ad oltre 20.000 persone, in abiti da lavoro, molti ubriachi e vocianti, in gran parte pionieri e farmers dell’Ovest che portavano nel cuore del potere lo spirito rude della frontiera”.
Attraverso studi ben documentati Revelli dimostra come già alla fine del XIX secolo “l’1% più ricco della popolazione americana possedesse all’incirca il 51% dell’intera ricchezza mondiale” e che i territori che portarono all’affermarsi, già allora, di questi partiti sono gli stessi su cui Trump, a distanza di più di un secolo, ha costruito il suo successo elettorale.

Cos’è il populismo oggi

Cos’è davvero il populismo oggi? Questo è il tema centrale del saggio, un termine “pressoché inutilizzabile, data l’indeterminatezza e l’enorme varietà di significati che gli vengono attribuiti” e Revelli, per rendere l’idea, riprende una metafora del poeta Dylan Thomas secondo cui “un alcolista è uno che beve tanto quanto te, ma non ti sta simpatico.”
Com’è possibile che i ceti più bassi americani abbiano votato un uomo come Trump nonostante l’abissale distanza di reddito e patrimonio? Com’è possibile che il civilissimo Regno Unito abbia deciso di uscire dall’Unione Europea? O che nel polmone intellettuale d’Europa la Le Pen abbia sempre più seguito?

Le mappe del voto nel Regno Unito

È un’analisi molto interessante quella di Revelli, perché parte dallo shock mondiale che hanno mostrato i media subito dopo l’elezione del pittoresco Presidente americano e all’indomani dei risultati della Brexit, ma era così davvero inattendibile questo esito? Probabilmente no e Revelli lo dimostra con uno studio attento sulle mappe del voto, sulla geografia delle preferenze e dando di nuovo voce agli elettori. In Uk il leave ha vinto di pochi punti percentuali, ma la maggior parte dei voti del remain sono arrivati da Scozia e Irlanda del Nord, che necessitano fortemente dell’UE per motivi di autonomia, e dall’area della Greater London dove vi è “la parte di popolazione maggiormente beneficiata dalla new economy , collocata sulle direttrici a scorrimento veloce della finanza, della comunicazione, delle cosiddette “attività creative”, terziario e quaternario avanzato, connesse e interconnesse nelle maglie larghe della globalizzazione”. Ma già andando nelle periferie della grande capitale cosmopolita inglese, la geografia del voto inizia a mutare inesorabilmente verso il leave, dove comincia ad affiorare un senso di scontento generalizzato e man mano che si va nell’interno del paese vi è un’implosione unica tinta del leave . Ciò dimostra anche, secondo l’autore, che il Regno Unito non è neppure più tanto unito.

Le due Americhe

Ma è sull’altra sponda dell’Oceano che lo studio delle mappe del voto è traumatizzante, perché delimita in maniera netta ed inequivocabile Due Americhe: quella di Trump, territorialmente immensa, distesa a occupare l’85% del territorio dove però abita solo il 46% della popolazione totale; e quella della Clinton, incredibilmente densa e concentrata, appena il 15% del territorio ma molto popolata con il 54% della popolazione americana. I risultati sono incredibili, a Manhattan la Clinton con uno schiacciante 87 a 10, ma il voto rural e small cities è stato tutto di Trump con un vantaggio medio rispettivamente di 86 e 70 punti. L’America non è mai stata polarizzata, dice Revelli, le elezioni si sono sempre vinte con vantaggi più o meno normali ed equamente suddivisi sia per popolazione che per territorio, cosa è successo allora? Come si è potuti arrivare a questo incredibile e stravolgente risultato?

Un nuovo scenario post-novecentesco

Una citazione esterna ripresa nel testo:
“È la vendetta dei deplorables. La maggioranza silenziosa ha ruggito. Gli outsiders hanno fatto un occhio nero all’Establishment (scritto con la E maiuscola), esattamente come hanno fatto con la Brexit nel Regno Unito… La vittoria di Donald Trump è il più grande fuck you a tutti i suoi nemici. I media, i politici e Wall Street”.
È un nuovo scenario post-novecentesco in cui la politica si deve muovere, con la nascita di una “nuova razza di populismo di destra, transnazionale nella sua espansione geografica, come transnazionale era stato il paradigma neoliberista cresciuto insieme alla globalizzazione. Perché se la destra scopre la “classe operaia” vuol dire che qualcosa si è rotto, vuol dire che la sinistra ha lasciato il campo, o meglio quella che fu storicamente la sua base sociale è migrata nell’altro campo”.
Secondo l’autore è mutata l’idea stessa di politica, non più orizzontale come eravamo abituati nel secolo breve sull’asse destra-sinistra, ma la lotta si è spostata verticalmente, creando un nuovo asse alto-basso con il popolo “puro” in basso contro l’élite corrotta e senza colore in alto.

Front Nationalin Francia e AfD in Germania

È il vuoto di rappresentanza lasciato dalla sinistra all’inizio degli anni novanta che dà il via alla nascita di questo fenomeno globale e la situazione non migliora neanche negli altri gradi paesi dell’Unione Europea, la crescita del Front National in Francia con la Le Pen ne è l’ennesima dimostrazione. Anche qui l’analisi di Revelli parte da lontano, un partito nato come xenofobo, nostalgico e marginale nello scacchiere politico d’Oltralpe, che lentamente accoglie i voti di un elettorato eterogeneo che è stato abbandonato dai partiti in cui si era sempre riconosciuto e che, se non fosse stato per il sistema elettorale transalpino, che prevede il ballottaggio finale, probabilmente la Le Pen oggi sarebbe il Presidente della Repubblica.
Non da meno l’AfD in Germania, trionfante alle ultime elezioni di poche settimane fa con un’incredibile 13%, risultato straordinario per un partito nato quattro anni fa che trova radici e riferimenti nell’estremismo di destra. Come è possibile che anche la più ricca e solida economia dell’UE non sia stata esentata da questo fenomeno?

I tre populismi italiani

La parte finale del libro è invece dedicata al nostro Paese. Revelli chiama il capitolo “I tre populismi italiani”: il telepopulismo berlusconiano, il cyberpopulismo grillino ed il populismo dall’alto di Matteo Renzi. Ancora un’analisi esemplare sulla politica che governa le nostre vite, un’evoluzione dopo l’altra che nasce con Berlusconi, si evolve con Grillo e che Renzi amalgama per creare una nuova forma di controllo.
Di chi è la colpa di tutto ciò? Solo della sinistra e della sua conversione immediata negli anni novanta al liberismo economico, abbandonando la sua base elettorale storica che ne era anche l’essenza costitutiva? Probabilmente sì, ma le cause vanno ricercate anche negli effetti nefasti della globalizzazione che, dopo la caduta del muro di Berlino, era vista come la nuova era di benessere diffuso, ma che alla fine ha portato beneficio sempre e solo alle stesse persone, generando un sempre maggiore impoverimento delle classi medie in Occidente. Deindustrializzazione, disoccupazione galoppante, redditi stagnanti, flussi migratori incontrollati, hanno generato un senso di paura collettiva e, come dice il filosofo sloveno Slavoj Žižek, “sono il “popolo di vittime” che alimentano il senso diffuso di rabbia, insofferenza e diffidenza rovesciatosi nelle società sempre più liquide e irrequiete dopo che sono finite in default quelle straordinarie “banche dell’ira” che erano stati i vecchi partiti di sinistra e le chiese”.

Marco Revelli – Populismo 2.0 – Einaudi

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Su Roberto Bruccoleri

Nato ad Agrigento nel 1983, si forma a cavallo degli anni '90 tra sale giochi, campi di calcetto di cemento e spiagge incontaminate, a 18 anni ha la fortuna di andare a studiare a Roma e lì la vita gli comincia ad offrire le meraviglie che è capace di elargire. Instancabile viaggiatore e famelico lettore, si vanta continuamente di essere nato a metà strada tra i paesi natii di Sciascia (Racalmuto) e Pirandello (Porto Empedocle), la sua massima è: "l'ignoranza è la verginità della mente".

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