John Perkins – Confessioni di un sicario dell’economia

Uno dei testi più semplici e significativi per comprendere come gli Stati Uniti siano riusciti ad asservire alle proprie volontà politiche ed economiche buona parte dei Paesi del globo, è l’autobiografia di John Perkins, Confessioni di un sicario dell’economia.

La figura del «sicario dell’economia» è nata negli Anni Sessanta, allorquando i servizi segreti americani selezionarono gruppi sempre più ampi di professionisti col compito di orientare la modernizzazione dei Paesi cosiddetti «in via di sviluppo» agli interessi delle più potenti multinazionali e degli Stati Uniti. Da notare è che queste figure erano (e sono?) comunque stipendiate da aziende private; quindi il loro lavoro, spesso «sporco» ma comunque nei limiti della legalità, risultava essere responsabilità dei privati e non del governo americano.

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Perkins è stato uno di loro per più di dieci anni, prima di pentirsene e trovare la forza di scrivere questo libro-inchiesta che offre una descrizione della storia internazionale dell’ultimo mezzo secolo spesso trascurata ma terribilmente veritiera. Che non può non indurre delle riflessioni sui molteplici lati oscuri della globalizzazione. Altro che complottismo e tesi fantastiche.
Ruolo di Perkins era fare delle previsioni sugli effetti di investimenti miliardari (specie infrastrutture) che un dato Paese in via di sviluppo avrebbe potuto fare (e che puntualmente metteva in atto) coi soldi prestati dagli americani. In particolare, elaborava proiezioni di crescita economica complementari alla realizzazione dei progetti promossi. Unica condizione per i governi che accettavano questi prestiti, era che centrali elettriche, reti ferroviarie, strade, porti ed altre infrastrutture fossero costruite da studi di progettazione ed imprese edili americane.

Scrive Perkins: «Sebbene il denaro venga consegnato quasi immediatamente alle aziende che fanno parte della corporatocrazia (il creditore), il Paese destinatario è obbligato a restituire l’intero capitale più gli interessi. Quando un sicario dell’economia assolve al meglio il suo compito, i prestiti sono così ingenti che il debitore si trova costretto alla morosità dopo pochi anni. Quando ciò si verifica, proprio come fa la mafia, pretendiamo il risarcimento dovuto. Ciò comprende una o più delle seguenti condizioni: il controllo dei voti alle Nazioni Unite, l’installazione di basi militari o l’accesso a preziose risorse interne come il petrolio o il Canale di Panama. Ovviamente il debitore ci deve comunque il denaro… e un altro Paese viene annesso al nostro impero globale».

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Il libro racconta la mirabolante ascesa professionale di Perkins e gli accordi che grazie al suo lavoro hanno permesso di catturare nella ragnatela delle multinazionali e del governo americano stati come l’Ecuador, l’Indonesia, la Colombia, Panama e l’Arabia Saudita. Oltre a svelare dialoghi coi capi di governo e retroscena da spy story, Perkins si sofferma su aneddoti storici di straordinario interesse, in cui lo zampino americano ha modificato per sempre il corso della vita di intere popolazioni: dal colpo di stato in Iran, ai «misteriosi incidenti aerei» che fecero fuori prima Jaime Roldòs (presidente dell’Ecuador, 24 maggio 1981) e poi Omar Torrijos (presidente Panama, 31 luglio 1981); dal fallimento dei piani statunitensi in Iraq e Venezuela all’invasione americana di Panama del 20 dicembre 1989. Un episodio, questo ultimo, praticamente dimenticato, ma che ha del clamoroso: «Fu descritta come la più grande offensiva contro una città dall’epoca della seconda guerra mondiale. Fu un un’aggressione non provocata contro una popolazione civile. Panama e il suo popolo non rappresentavano alcuna minaccia per gli Stati Uniti né per nessun altro Paese».

Scorrevole e mai pesante, sembra un romanzo, ma non è altro che un racconto autobiografico corredato da cenni storici di largo respiro e considerazioni solo apparentemente scontate che debbono scuotere la coscienza di chi legge. Arrivato all’ultima pagina, satollo, il lettore sarà più preparato e consapevole.

Felicità: 10%
Tristezza: 80%
Profondità: 85%
Appagamento: 92%
Indice metatemporale: 90%

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Su Dario Macrì

L'ego mi costringe a dire che sono un giornalista. Ma proprio il fatto che esterni tale conflitto è opera stessa dell'ego, che esulta. E questo è solo un accenno della contorta battaglia interiore che si combatte in me soprattutto fra petto e bocca dello stomaco. Dalla Calabria.

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