Il Grande Gatsby è un libro che parla d’amore e che prende il mito americano di inizio secolo per farne minuscoli pezzettini. Fitzgerald con la sua prosa lineare eppure maiuscola, ci accompagna in un mondo fatto di finzioni, di ipocrisie, di ideali e di meschinità
La trama de Il Grande Gatsby
Dopo aver visto il film, nel 2013, ci ho messo un bel po’ ad approcciarmi al libro. Forse perché del film ci avevo capito poco e di quel poco mi era rimasto dentro ancora meno. Fatto è che in questa estate appiccicaticcia, a distanza di cinque anni, m’è ritornata voglia di Fitzgerald e col senno di poi non posso che esserne felice.
Ma andiamo con ordine, partendo come sempre dalla trama. Jay Gatsby è un uomo ricco e dal passato oscuro che organizza, nella sua villa in una zona alla moda di Long Island, feste sfarzose a cui partecipa praticamente la qualunque. Nessuno lo conosce veramente, alcuni degli ospiti nemmeno sanno che faccia abbia, non esistono inviti, per godere della sua ospitalità basta semplicemente andarci. Nella casetta affianco alla sua viene a vivere un giovane inquieto, Nick Carraway, voce narrante del libro, che incuriosito dal suo dirimpettaio, prima, come tutti, partecipa a una sua serata, poi stringe con lui una sorta di amicizia, innanzitutto basata su convenevoli e congetture, poi sempre più profonda e sincera. Attorno a loro ruotano una serie di personaggi, tra cui Daisy, amore giovanile di Gatsby, nonché unica ragione per cui questo magnate dalle origini dubbie organizza feste: poterla rincontrare e riallacciare i fili di una passione perduta.
Attorno a questa vicenda, Fitzgerald, in solo nove capitoli, riesce a dare vita a una disamina meravigliosa dell’amore, analizzato nelle sue più ossessive sfaccettature, ma anche di quello che era l’America degli anni 20, sull’orlo di una crisi economica che di lì a poco avrebbe spazzato via la vita di tanti, ma che, comunque, provava imperterrita a nascondere a se stessa l’avvicinarsi della fine.
L’amore secondo Scott Fitzgerald
La meravigliosa ossessione di Gatsby per Daisy, una donna amata in gioventù per un solo mese e poi perduta per via della guerra è, come dire, la trasposizione letteraria dell’amore ideale: assoluto, cieco, corroborato di costanza granitica e passione cieca. La bravura di Fitzgerald nel suo The Great Gatsby è quella di svelarci questo personaggio e la sua ossessione in maniera graduale, smontando pagina dopo pagina la cortina di fumo attorno a lui e al suo modo di vivere la vita, per poi mostrarcelo nudo con il sogno verso la fine del libro. La necessità di un assolutismo amoroso per il protagonista fa il paio con la rivelazione di come questi sentimenti possano essere completamente calpestati, non compresi, buttati via. È il destino di Gatsby che decide di regalare il suo cuore e ogni azione compiuta nella sua vita a una ragazza viziata, che non comprende appieno quello che le è stato offerto e che, dall’alto della sua posizione sociale,lo tratta esattamente come è abituata a fare con tutti quelli che gli capitano a tiro. C’è una frase che sintetizza alla perfezione questo concetto: “Era gente sbadata, Tom e Daisy, rompevano cose e persone e poi si ritiravano nei loro soldi e nella loro noncuranza o qualunque cosa fosse che li teneva insieme, e lasciavano che fossero altri a pulire lo sporco che lasciavano…”
L’America di Gatsby e Carraway
La storia d’amore tragica tra Jay e Daisy è la sfaccettatura di un pensiero molto più esteso che coinvolge gli Stati Uniti di inizio secolo scorso. Un paese che negli anni 20 fu caratterizzato da una crescita industriale enorme che portò, giocoforza, a una divisione tra ricchi e poveri (immigrati, neri, rurali) decisamente netta. Gli Anni Ruggenti, definizione quantomeno azzeccata, è il tempo in cui si muovono i protagonisti del libro ed è dove Fitzgerald indirizza la sua critica più acuminata. Un paese che nella sua parte più ricca gode della nascita di un’infinità di beni di consumo, di agi che in qualche modo riescono a cambiarne la mentalità, introiettando in chi se lo può permettere una visione della vita distorta votata a un futuro più o meno consapevole. Il passato non ha più importanza e il presente viene vissuto con una leggerezza (noia, attesa, fate voi) tale da rendere del tutto superficiali se non impossibili le relazioni umane. Fitzgerald ce lo racconta bene contrapponendo a quel mondo non tanto Gatsby (che ha un passato oscuro di cui sembra non curarsi e un amore talmente folle e remoto anch’esso, da cancellare tutto il resto), ma soprattutto Carraway, l’unico che riesce ad addentrarsi nelle dinamiche chi gli sta intorno, emozionarsi per qualcosa di assoluto, come appunto il sentimento folle del suo nuovo amico. La critica sociale di Gatsby esplode alla fine, nel ritratto che Carraway fa di Gatsby, ma è strisciante in tutto il libro, nei dettagli della vita di ogni personaggio, in ogni loro singola mossa. Una lunga rincorsa verso il vuoto, esattamente come la macchina gialla del protagonista che in pochi chilometri riesce a distruggere tutto quello che trova, proprio come quell’America che nel 1929 subirà il tracollo più grave della sua giovane esistenza.
Lo stile di Scott Fitzgerald
In maniera del tutto casuale, oggi a pranzo mentre mangiavo mi sono imbattuto in una puntata dei Griffin in cui viene messa in scena una trasposizione del libro di Fitzgerald. Autore di cui un grande pensatore come Peter Griffin conia la definizione: “L’unico Scott rispettato a questo mondo”. Ebbene in quella puntata si giocava sul fatto che il libro più celebre di questo autore è dotato di una trama talmente banale da far quasi ridere. Il che visto che si parla d’amore può anche essere vero, come è vero che sono in molti a pensare che lo stile di Fitzgerald appaia talmente lineare da risultare quasi noioso. Non a caso, grazie anche al film di Luhrmann, Fitzgerald è attualmente uno degli autori più amati da un certo hipsterismo, nonché uno dei più citati (a cazzo) sui vari social. Beh, non cadeteci, sminuirlo così sarebbe un errore madornale.
Nella facilità con cui Fitzgerald ci fa scorrere nella storia, infatti, si aprono più spesso di quel che può sembrare botole in cui riaffiorano verità e colpi di genio letterario di livello assoluto. A differenza delle chiassose feste di Gatsby, della pazza vita dello stesso Fitzgerald, delle luci verdi verso cui spingere il proprio folle assolutismo, i nove capitoli che questo autore ci ha regalato sono come un prezioso lembo di broccato bianco: da lontano appare come una semplice macchia monocromatica, da vicino invece, nascosti nella trama, prendono vita disegni e intarsi in cui perdersi in maniera definitiva.
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