Epepe - Ferenc Karinthy

Epepe – Ferenc Karinthy

Epepe di Ferenc Karinthy è un libro che difficilmente lascia indifferenti: che cosa si prova nel ritrovarsi per errore in una città sconosciuta, di cui non si conosce la lingua e senza alcuna possibilità di comunicare con la popolazione locale?

Epepe di Ferenc Karinthy

Emmanuel Carrère, nella prefazione del libro, scrive che Epepe è palesemente destinato ad essere un libro di culto. Non so se si possa arrivare a tanto, ma è un libro che difficilmente lascia indifferenti: che cosa si prova nel ritrovarsi per errore in una città sconosciuta, di cui non si conosce la lingua e senza alcuna possibilità di comunicare con la popolazione locale?

A ripensarci in seguito, non può che essere andata così: nella confusione dello scalo Budai deve aver sbagliato uscita, è salito su un volo diretto altrove e per qualche motivo l’equivoco è sfuggito anche al personale dell’aeroporto.

Ferenc Karinthy è stato uno scrittore e un linguista ungherese della cui produzione sono stati tradotti in italiano solo due libri, e solo dopo diversi anni dalla sua scomparsa. Epepe è stato pubblicato per la prima volta nel 1970, ma la sua traduzione inglese è arrivata solo nel 2008 mentre in Italia è stato pubblicato da Adelphi nel 2015.

Questa premessa è necessaria per delineare i contorni di un’opera che, salvo per la mancanza di alcuni riferimenti, potrebbe essere stata scritta e ambientata pochi anni fa. Budai, il protagonista, è un linguista diretto ad un convegno ad Helsinki ma che si trova a prendere per errore l’aereo sbagliato e arriva in una città di cui non conosce né la lingua, né l’ubicazione.

Epepe

Da rileggere

Per un esperto del suo calibro, che conosce diverse lingue e le differenze tra i vari alfabeti, dovrebbe essere facile chiarire l’equivoco e tornare in pochi giorni a casa. E invece il romanzo ci racconta giorno dopo giorno il precipitare della situazione del protagonista: la città in cui si è trovato letteralmente per caso sembra all’apparenza una città anonima, senza alcun tratto particolare, abitata da una moltitudine di persone, così numerose da rendere le code, le attese e il contatto sociale una costante del romanzo (senza contare che, in settimane come queste di distanziamento sociale, suona quasi fantascientifico).

Sicuramente uno degli elementi affascinanti e angoscianti allo stesso tempo di questo romanzo risiede nel fatto che il protagonista si trova precipitato in un mondo molto simile per diversi aspetti a quello che conosce, tanto che all’inizio è convinto che l’equivoco in poche ore si risolverà e che per altri è così differente-e indifferente a lui- da non riuscire a sfuggirgli.

Epepe (o quantomeno questo dovrebbe essere il suo nome), colei che da il nome al romanzo, è l’unica persona che sembra interagire davvero con il protagonista: la ragazza manovra l’ascensore dell’hotel in cui Budai si trova letteralmente trascinato all’inizio del romanzo e sembra anche essere l’unica che dimostra un sincero e reale interesse per lui.

Dopo quella violenta commozione, sopraffatto da un disperato senso di solitudine, cercò conforto evocando l’immagine della ragazza dell’ascensore mentre fumava all’ultimo piano dell’albergo: la sentiva molto vicina, provava il bisogno quasi vitale di aggrapparsi a lei, anche solo col pensiero. Eppure non sarebbe stato capace di raccontarle quell’esperienza da incubo, dato che non riuscivano a capirsi al livello più elementare; non sapeva nemmeno con quale nome pensarla: Bebe, Tetete, Epepe?

Per finire, ritorno ancora una volta la prefazione del libro. Carrère riferisce che Epepe è uno dei pochi libri che si è trovato a rileggere tre volte in cinque anni. Scrivendo questa recensione sono arrivata alla conclusione che sì, è un libro che facilmente si arriva a rileggere più volte negli anni. Forse perché la storia non ha una collocazione precisa per quanto riguarda il tempo o lo spazio, o forse perché nella prima lettura ci si concentra su quella che è la trama, sui tentativi sempre più tenaci di Budai di fuggire, nelle riletture successive ci si può invece concentrare su tanti altri aspetti. Sicuramente un buon biglietto da visita per iniziarne la lettura.

Ferenc Karinthy – EpepeAdelphi
Traduzione: Laura Sgarioto

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